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15 Dicembre 2025 - 08:09
Due colossi risorti dal deserto: l’Egitto rialza Amenhotep III e rilancia il business dell’archeologia
All’alba, mentre i palloni aerostatici si muovono lentamente sopra la riva occidentale del Nilo, due figure monumentali tornano a emergere dal paesaggio di Luxor e a orientare lo sguardo verso oriente. Sono le statue colossali di Amenhotep III, ricomposte in alabastro e inaugurate dopo un lungo intervento di restauro. Il faraone è raffigurato seduto, con le mani appoggiate sulle cosce e il volto rivolto verso il punto in cui sorge il sole, secondo una simbologia ben attestata nel Nuovo Regno. Al di là della cerimonia, il dato rilevante è che, dopo quasi vent’anni di lavori, l’Egittorimette in piedi due colossi e, insieme, rilancia una strategia che intreccia tutela del patrimonio, flussi turistici e costruzione dell’identità nazionale.
Le statue, presentate ufficialmente il 14 dicembre 2025, sono state ricondotte dagli archeologi e dalle autorità al grande complesso funerario di Amenhotep III, noto al pubblico come Colossi di Memnone. Rappresentano il sovrano seduto con il copricapo nemes e le doppie corone dell’Alto e Basso Egitto; ai lati delle gambe compaiono le figure più piccole della regina Tiye. Le dimensioni sono imponenti, con altezze che superano i tredici metri, e segnano l’ingresso del tempio funerario di Kom el-Hetan, sulla riva occidentale del fiume. L’area del tempio, estesa per circa trentacinque ettari, è considerata dagli studiosi uno dei complessi più vasti dell’Egitto faraonico. I blocchi utilizzati provengono dalle cave di Hatnub, nel Medio Egitto, celebre per l’estrazione del cosiddetto alabastro egiziano. Le statue furono abbattute da un terremoto avvenuto attorno al 1200 a.C. e, nel corso dei secoli, i frammenti furono dispersi o riutilizzati in altri edifici sacri. Il loro rialzamento è il risultato di un lavoro avviato alla fine degli anni Novanta da una missione egiziano-tedesca guidata dall’egittologa Hourig Sourouzian, in collaborazione con il Consiglio Supremo delle Antichità (Supreme Council of Antiquities).
L’intervento non si è limitato alla ricostruzione materiale, ma ha cercato di restituire il significato originario del cosiddetto “Tempio dei Milioni di Anni”, compromesso nei secoli da crolli, piene del fiume e spoliazioni. I colossi sono stati ricollocati su grandi piedistalli con iscrizioni che richiamano il nome del tempio e della cava di provenienza. Una parte degli elementi è stata assemblata attorno a un nucleo monolitico, integrando blocchi scolpiti separatamente, secondo quanto indicato nei comunicati del Ministero del Turismo e delle Antichità. Il principio guida è stato quello di intervenire il meno possibile sulla materia originale, privilegiando la leggibilità e la reversibilità delle integrazioni. Nel corso degli anni sono stati individuati e catalogati frammenti dispersi, riassemblati sulla base degli incastri antichi e consolidati con sistemi di supporto discreti. Il cantiere ha coinvolto restauratori, archeologi, ingegneri strutturisti e topografi, con l’uso di rilievi tridimensionali e test in situ per valutare la risposta dell’alabastro alle forti escursioni termiche e all’erosione eolica tipiche dell’area tebana.
Negli ultimi anni, la stessa zona ha restituito ulteriori scoperte, tra cui statue della dea Sekhmet e frammenti colossali in forma di sfinge, confermando la continuità scientifica del progetto di studio e valorizzazione del paesaggio templare di Luxor Ovest. Dal punto di vista terminologico, il nome Colossi di Memnone merita una precisazione. Tradizionalmente, con questa espressione si indicano le due statue sedute in quarzite che da secoli segnano l’accesso al tempio di Amenhotep III. Oggi, per ragioni di comunicazione e riconoscibilità internazionale, la stessa etichetta viene estesa anche alle nuove ricomposizioni in alabastro, che appartengono allo stesso asse monumentale ma a un gruppo scultoreo diverso. È una scelta comprensibile, ma che richiede attenzione da parte di chi visita il sito o ne racconta la storia.

L’inaugurazione dei colossi si inserisce in una più ampia strategia di valorizzazione del patrimonio promossa dal governo egiziano. Nelle stesse settimane è stato presentato ufficialmente il Grand Egyptian Museum di Giza, mentre a Luxor proseguono le riaperture di siti simbolici. Tra queste rientra anche la tomba di Amenhotep III nella Valle dei Re, chiusa da oltre vent’anni e riaperta dopo un lungo intervento sostenuto da partner giapponesi e sotto la supervisione dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura). L’obiettivo dichiarato delle autorità è riportare il turismo culturale ai livelli pre-pandemici e superarli, puntando a circa trenta milioni di visitatori l’anno nel prossimo decennio, rispetto ai 15,7 milioni registrati nel 2024.
Dal punto di vista iconografico, le statue offrono una rappresentazione canonica del sovrano della XVIII dinastia, con elementi che sottolineano la sua autorità divina e politica. La presenza della regina Tiye ai piedi del faraone non è un dettaglio secondario, ma un segnale del ruolo centrale che la consorte ebbe nella politica interna ed estera del regno. La scelta dell’alabastro, materiale chiaro e sensibile alla luce, amplifica l’effetto visivo delle figure nel paesaggio, una qualità ben nota agli architetti e agli scultori dell’epoca. I restauratori hanno cercato di restituire questo rapporto con la luce senza forzature, utilizzando materiali moderni compatibili e sistemi di ancoraggio non invasivi.
Rialzare due colossi in alabastro in un contesto come quello di Luxor Ovest comporta anche una riflessione sui rischi ambientali. L’erosione, le variazioni di temperatura, la salinità del suolo e l’impatto del traffico turistico sono fattori costantemente monitorati. Per questo il lavoro è stato condotto per fasi, con un controllo periodico degli ancoraggi e delle superfici più delicate. Mentre l’attenzione mediatica si concentra sulle statue appena inaugurate, la ricerca archeologica continua nelle aree circostanti, dove emergono nuovi elementi utili a comprendere l’estensione e la complessità del tempio funerario.
Il rialzamento dei colossi di Amenhotep III rappresenta quindi un tassello significativo di una politica culturale che punta a trasformare il patrimonio archeologico in una risorsa economica stabile, senza rinunciare al rigore scientifico. Il messaggio che emerge da Luxor è che la conservazione richiede tempo, competenze e una visione di lungo periodo. Se questa linea verrà mantenuta, il sito continuerà a essere un punto di riferimento non solo per i visitatori, ma anche per la comunità scientifica e per le popolazioni che vivono attorno a uno dei paesaggi archeologici più complessi del Mediterraneo.
Fonti: Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano; Supreme Council of Antiquities; Missione archeologica di Kom el-Hetan diretta da Hourig Sourouzian; UNESCO; comunicati ufficiali del Grand Egyptian Museum; agenzie di stampa internazionali.
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