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Pesticidi nel piatto: cosa ci dice davvero il nuovo dossier di Legambiente (e perché la frutta è l’anello debole)

Quasi metà dei campioni contiene residui, il “multiresiduo” cresce e gli agrumi sono in prima linea: dati, contesto europeo, rischi dell’“effetto cocktail” e consigli pratici per ridurre l’esposizione senza rinunciare a frutta e verdura

Pesticidi nel piatto: cosa ci dice davvero il nuovo dossier di Legambiente (e perché la frutta è l’anello debole)

Pesticidi nel piatto: cosa ci dice davvero il nuovo dossier di Legambiente (e perché la frutta è l’anello debole)

Immaginare una cassetta di arance appena arrivate al mercato non basta più per raccontare cosa c’è davvero sotto la buccia. Profumano, brillano, invitano a quel gesto quotidiano che si tramanda senza pensarci, ma dietro quella superficie si apre una statistica che incrina la fiducia: in quasi un prodotto su due analizzato in Italia compare almeno un residuo di fitofarmaco, e nella frutta i campioni con multiresidui sfiorano la soglia dei tre quarti. Non è allarmismo, è il dato nudo del dossier “Stop pesticidi nel piatto 2025” di Legambiente, che entra nel dibattito pubblico con la forza dei numeri e con il sospetto che il confine tra tutela e abitudine sia diventato troppo sottile.

Il rapporto di Legambiente, costruito su 4.682 campioni tra frutta, ortaggi, cereali, trasformati e alimenti di origine animale, scatta un’istantanea di un Paese diviso. Poco più della metà dei prodotti convenzionali risulta senza residui, ma quasi il 48% contiene tracce di uno o più fitofarmaci e la presenza di due o più sostanze attive arriva al 30,6%, un balzo in avanti di quasi quindici punti rispetto all’anno precedente. La non conformità ai limiti europei resta bassa, ma gli esperti ricordano che l’effetto cocktail e l’accumulo nel tempo non entrano nelle statistiche rassicuranti. La frutta rimane il punto più esposto, con una quota di multiresiduo che supera il 75%, con un coinvolgimento marcato degli agrumi. È una tendenza già segnalata nelle edizioni precedenti del dossier, che mostrano come mele, pere, uve da tavola e pesche rappresentino un terreno fertile per interventi ripetuti e strategie di difesa che sommano molecole più che ridurle.

Il fatto che quasi tutto sia “dentro i limiti” non scioglie la questione. L’EFSA, nel suo rapporto sui residui nei cibi commercializzati nell’Unione, certifica un quadro ad alta conformità, vicino al 99%, ma riconosce che i consumatori entrano sempre più spesso in contatto con miscele multiple. Nelle 13.246 analisi del programma UE coordinato del 2023, la quasi totalità dei campioni è risultata regolare, ma tre su dieci contenevano uno o più residui, e nei programmi nazionali mirati la situazione si ripete, con casi estremi come un peperoncino con 37 sostanze attive. La partita si gioca tutta sulla valutazione della miscela: PAN Europe ha evidenziato come i dati ufficiali mostrino una crescita costante dei cosiddetti “pesticide cocktails”, in particolare su frutti come pere e arance, e sostiene l’introduzione di un Mixture Assessment Factor per fotografare ciò che la chimica reale già racconta. Una posizione militante, ma fondata su articoli scientifici che studiano effetti additivi e sinergici di basse dosi ripetute. Sulla stampa, una voce come quella della ricercatrice Fiorella Belpoggi dell’Istituto Ramazzini torna a insistere su un punto ineludibile: molti pesticidi si accumulano e la valutazione dei rischi dovrebbe considerare esposizioni croniche e fasi sensibili come gravidanza e infanzia, non solo gli sforamenti acuti.

Il quadro politico europeo aggiunge un altro strato di complessità. Nel 2024 la Commissione europea ha ritirato la proposta di Regolamento SUR che prevedeva la riduzione del 50% dell’uso e del rischio dei pesticidi entro il 2030, dopo la bocciatura del Parlamento e le pressioni delle organizzazioni agricole. Nel 2025 la stessa Commissione ha confermato che la proposta non tornerà a breve sul tavolo. Eppure i dati pubblicati da Bruxelles raccontano di un calo del 58% negli indicatori compositi di uso e rischio fra 2018 e 2023, e di una riduzione del 27% per le sostanze più pericolose. Trend positivi che, tuttavia, si scontrano con disomogeneità nazionali, criticità metodologiche e una giurisprudenza che sta cominciando a ridurre la possibilità di proroghe indiscriminate delle autorizzazioni senza nuove valutazioni, come richiamato da una recente sentenza della Corte di giustizia.

La frutta paga prezzi più alti di altri alimenti perché concentra fattori agronomici e commerciali. I cicli colturali richiedono numerosi interventi antimuffa e antimarciume, le superfici fogliari trattengono i depositi, i trattamenti post-raccolta – particolarmente diffusi negli agrumi – amplificano la pressione chimica e la lunga logistica impone sistemi protettivi aggiuntivi. Molecole come l’imazalil hanno visto una revisione dei limiti massimi di residuo e, in alcuni casi, l’obbligo dell’etichetta buccia non edibile, un avvertimento che nasce dalla necessità di equilibrare sicurezza legale e prudenza domestica, soprattutto quando le bucce entrano in cucina per marmellate, canditi o infusi.

Nel rapporto EFSA 2025 sui controlli relativi al 2023 emerge anche un salto metodologico: la valutazione del rischio non è più soltanto deterministica, ma anche probabilistica, capace di stimare le reali probabilità di superamento dei valori guida. I risultati confermano un rischio molto basso per la maggior parte della popolazione, ma mettono in luce differenze tra Paesi, prodotti e l’importanza di controlli più severi alle frontiere, dove le partite extra UE mostrano sforamenti più frequenti. Sulle valutazioni cumulative si lavora da anni, concentrandosi sui gruppi di sostanze con meccanismi d’azione simili, come organofosforici e carbammati, ma l’effetto combinato tra classi diverse e microdosi ripetute rimane un campo dove prudenza e principio di precauzione hanno ancora molto da dire.

I pesticidi non si fermano nel frutteto e i dati ambientali lo confermano. Rapporti nazionali aggiornati al 2021 e pubblicati nel 2024 dal SNPA/ISPRA mostrano residui nelle acque superficiali e sotterranee, con sostanze persistenti come glifosato e metaboliti in aree agricole ad alta intensità. Nonostante il calo delle vendite di agrofarmaci, le matrici ambientali rispondono lentamente. A questo si somma il tema dei PFAS, i “forever chemicals” presenti in diversi alimenti secondo indagini giornalistiche e report civici, mentre a Bruxelles si discute dei limiti per il TFA, sottoprodotto anche della degradazione di pesticidi fluorurati. Il dossier di Legambiente non si concentra su questo, ma il confronto europeo mostra come il perimetro della sicurezza alimentare stia incorporando contaminanti emergenti che dialogano con il tema pesticidi.

Il consumo resta comunque al centro di ogni strategia. Nessuno mette in discussione il valore nutrizionale della frutta e della verdura, né il loro ruolo nella prevenzione delle malattie. Ma un consumatore informato può ridurre l’esposizione con gesti semplici e consapevoli: lavare bene sotto acqua corrente per rimuovere parte dei residui superficiali, sbucciare quando ha senso, eliminare foglie esterne e peduncoli sulle insalate, variare dieta e provenienze per evitare ripetizioni di schemi di difesa, preferire il biologico quando possibile, soprattutto per uva, mele, agrumi e frutti di bosco. Anche in cucina, la pelatura, la centrifugazione e alcuni processi di cottura possono ridurre i residui più del semplice lavaggio. Non sono ricette miracolose, ma pratiche documentate che contribuiscono a una riduzione concreta dell’assunzione.

Il resto tocca alle filiere e alle istituzioni: una difesa integrata autentica, che privilegi varietà tolleranti, biocontrolli e interventi mirati; monitoraggi più solidi e trasparenti, capaci di colmare le lacune territoriali; un’applicazione rigorosa delle norme che limitano proroghe automatiche; una valutazione del cocktail che entri davvero nei processi autorizzativi; innovazioni post-raccolta più pulite, come coating commestibili e atmosfere modificate, in grado di garantire shelf-life senza saturare di chimica i frutti.

Con il ritiro del SUR si è congelato il quadro più ambizioso degli ultimi anni, ma le evidenze del dossier Legambiente e i dati europei mostrano che il tempo non lavora a favore dell’inazione. I multiresidui crescono, la frutta rimane il punto debole, il consumatore si muove in una terra intermedia tra legalità e cautela. L’EFSA rassicura sul presente, ma gli effetti cumulativi e la persistenza ambientale spingono a guardare al futuro con maggiore determinazione politica. Nel frattempo, chi riempie la borsa della spesa può scegliere stagionalità, diversificazione, lavaggi accurati e filiere che comunicano con chiarezza. Non è un compromesso, è un modo per riconciliare fiducia, salute e gusto, perché la frutta che arriva sulla nostra tavola continui a essere un alleato, non un interrogativo sospeso.

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