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Duro fa tremare Torino: 18mila biglietti bruciati e teatri pieni mentre qualcuno fugge indignato

Il comico siciliano domina il Colosseo con 16 repliche sold out e un black humor che divide l’Italia ma conquista il botteghino

Angelo Duro

Angelo Duro

Il fenomeno Angelo Duro continua a dilagare, e Torino si ritrova travolta da un successo che, a questo punto, non è più solo teatrale ma culturale. Sedici repliche, una permanenza in città fino al 21 dicembre, 18mila biglietti venduti e un dibattito nazionale che cresce replica dopo replica. Altro che fughe di spettatori: l’artista siciliano riempie le sale come pochi altri in Italia, nonostante — o forse grazie — alla cattiveria lucida e disturbante del suo black humor.

Il primo spettacolo, già diventato materia di discussione sui social, è stato marchiato da una frase che ha gelato la platea e fatto ridere metà del pubblico: quando un bambino di nome Aron è stato coinvolto dal palco, Duro gli ha sussurrato la sua personale verità, infilzando per sempre il mito dell’infanzia: «Babbo Natale? Babbo Natale non esiste piccolo Aron, è papà che ti fa i regali, è bene che tu lo sappia». Una cattiveria teatrale che gli italiani, a quanto pare, non solo accettano ma cercano disperatamente.

Nel frattempo, il film di Duro, “Io sono la fine del mondo”, è stato uno dei più visti del 2025. E ora, con lo spettacolo “Ho tre belle notizie”, il comico ha superato 60 sold out in Italia. A Torino, i weekend sono esauriti da settimane, mentre restano solo poche disponibilità per le serate infrasettimanali.

Dal Teatro Colosseo, che ospita questa maratona teatrale, traspare un orgoglio evidente. «Questo risultato rappresenta un trionfo – spiegano – si tratta di un legame speciale con un palcoscenico che ha accompagnato e amplificato l’esplosione artistica di Duro, diventando una delle piazze più importanti del suo percorso teatrale». E i numeri lo confermano: è la più lunga tenitura della stagione e anche una delle più redditizie.

Quanto alle famose “fughe indignate”? I responsabili del teatro ridimensionano la leggenda. «Sì, qualcuno va via a ogni replica, ma si tratta di cinque o sei persone al massimo». Una goccia nell’oceano, se confrontata con la folla che tenta di accaparrarsi un posto, possibilmente in prima fila, per assistere allo spettacolo di uno degli artisti più controversi (e richiesti) del momento.

Duro, intanto, rimane in città per tutta la durata del ciclo di repliche. Lo si vede passeggiare da solo, schivo come sempre, lontano dalle luci del glamour ma disponibile a scambiare un saluto con qualche fan. La sua natura è nota: solitario, refrattario alle etichette, insofferente al politicamente corretto. Sul palco, però, lo si ritrova spietatamente fedele a se stesso. Attacca tutto e tutti — mondo gay, disabili, donne, chiunque — con una violenza satirica che molti definiscono liberatoria e altri intollerabile. Forse, nel suo modo di ribaltare i tabù, c’è la chiave del suo successo: quello che dice fa male, ma a volte, suggerisce Duro, la verità lo fa più della battuta.

Qualcuno esce indignato. Molti di più tornano a cercare un biglietto.

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