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FAVRIA
08 Dicembre 2025 - 19:41
A Favria, nel pomeriggio di domenica 7 dicembre, la piccola cappella di San Giuseppe, incastonata nella campagna favriese come una gemma tra i campi, è tornata a essere il cuore pulsante della borgata. Davanti alla facciata semplice e luminosa, avvolti da un’aria di festa e di quieta familiarità, gli abitanti della zona – insieme ad amici, parenti, simpatizzanti e a chi da anni non perde l’appuntamento – si sono ritrovati per rinnovare una consuetudine che profuma di storia: lo scambio degli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Un incontro semplice, quasi disarmante nella sua autenticità, che però racchiude un valore profondo. Perché qui, in questo angolo di Canavese dove la memoria non è un esercizio retorico ma un modo di vivere, ogni gesto parla di un’appartenenza che non conosce scadenza. E così, come avviene da generazioni, i presenti hanno ricordato con orgoglio non solo il legame con la cappella, ma anche il nome con cui amano definirsi: i Sangiuseppini. Un appellativo affettuoso, nato da una familiarità antica, che porta con sé l’eco di un tempo in cui le borgate erano piccole comunità autosufficienti, unite da lavoro, fede e vicinato.
Mentre il vapore del tè caldo e del vin brûlé si mescolava al profumo pungente dell’inverno, e una fetta di panettone passava di mano in mano tra sorrisi e strette di mano, il clima era quello delle feste di un tempo: nessuna frenesia, nessuna corsa, ma la consapevolezza di trovarsi nel posto giusto, tra persone che condividono le stesse radici. Un rituale che rinsalda i valori di amicizia, solidarietà e appartenenza, e che racconta l’anima di una comunità capace di custodire la propria identità attraverso i decenni.
La borgata, infatti, affonda le sue radici nella storia tardo-settecentesca del territorio, e la cappella di San Giuseppe, da sempre punto di riferimento, continua a essere un simbolo che unisce e tiene insieme fili che altrimenti rischierebbero di perdersi. In un’epoca in cui tutto sembra accelerare, cambiare forma, sfuggire tra le dita, ritrovarsi qui assume un significato ancora più profondo. È un modo per dirsi che la velocità del mondo non cancella la voglia di comunità, né la necessità di riconoscersi negli sguardi degli altri.
La condivisione, allora, non è soltanto un gesto cortese, ma un atto identitario. È ricordare che, nonostante il tempo che corre e la modernità che impone un ritmo spesso insostenibile, esistono ancora luoghi e momenti in cui fermarsi ha senso. Luoghi in cui celebrare il passato diventa un modo per dare radici al presente e forma al futuro.
E così, anche quest’anno, tra il freddo pungente di dicembre e il calore umano dei Sangiuseppini, Favria ha rinnovato una tradizione che è molto più di una ricorrenza: è un frammento di storia viva che continua a pulsare, di generazione in generazione.

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