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Strage nel Mediterraneo: il gommone fantasma di Creta e i 18 giovani morti che nessuno riesce a spiegare

Un mercantile turco avvista un gommone semisommerso a 26 miglia da Chrysi. Solo due superstiti in condizioni critiche, mentre emergono nuove ipotesi sulla rotta dalla Libia verso Creta e sulle responsabilità dei trafficanti. La politica greca accelera su asilo e controlli, mentre il Mediterraneo continua a restituire corpi e non risposte

Strage nel Mediterraneo: il gommone fantasma di Creta e i 18 giovani morti che nessuno riesce a spiegare

Strage nel Mediterraneo: il gommone fantasma di Creta e i 18 giovani morti che nessuno riesce a spiegare

La prima immagine è un silenzio. Un gommone nero, mezzo sgonfio, che galleggia come una bolla d’aria intrappolata, un oggetto che non dovrebbe essere lì, sospeso su un mare quasi immobile. Dentro, corpi di uomini giovani, troppo giovani per essere fermi così, come se la vita si fosse arrestata senza rumore. A 26 miglia nautiche a sud-ovest dell’isolotto di Chrysi, a sud di Creta, è qui che un cargo battente bandiera turca ha lanciato l’allarme nel pomeriggio di sabato 6 dicembre 2025. L’intervento della Guardia costiera ellenica, insieme ai mezzi di Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), ha permesso di estrarre vivi solo due uomini, ora ricoverati in condizioni critiche. Gli altri sono stati recuperati senza vita. Il primo bilancio parlava di 17 vittime; a operazioni concluse, il conto è salito a 18. Le prime valutazioni mediche non escludono che i decessi siano avvenuti per ipotermia o disidratazione, prima ancora che il gommone cedesse.

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Secondo quanto ricostruito dalle autorità, l’imbarcazione – un piccolo zodiac sovraccarico – è stata avvistata da un mercantile turco di passaggio che ha immediatamente avvertito i soccorsi. Sul punto sono arrivati due mezzi della Guardia costiera greca, un’unità di Frontex, tre navi civili in transito, un elicottero Super Puma e un aereo dell’agenzia europea. I soccorritori hanno trovato due uomini in grave ipotermia e i corpi degli altri passeggeri all’interno del gommone, parzialmente sgonfio e imbarcato d’acqua. Le ricerche sono state chiuse dopo ore di sorvoli e rastrellamenti, non emergendo elementi che facessero pensare a dispersi.

I due superstiti hanno descritto un viaggio interminabile, con mare in peggioramento e senza coperture né viveri sufficienti. È una versione che coincide con le condizioni dell’imbarcazione e con i segni clinici riscontrati in altri soccorsi avvenuti nella stessa area nelle ultime settimane. Le autorità greche hanno confermato che tutte le vittime sono uomini giovani. Le autopsie sono state disposte per stabilire con precisione la causa della morte: l’ipotesi più accreditata è quella di decessi per ipotermia o disidratazione, compatibili con un lungo periodo trascorso a bordo di un gommone ormai inservibile. Si tratta però, al momento, di ipotesi di lavoro: solo gli esami medico-legali potranno definire una dinamica certa.

Questa tragedia non è un episodio isolato, ma il riflesso di una rotta che, negli ultimi mesi, si è progressivamente spostata: dalle partenze in Turchia verso le isole dell’Egeo alla partenza dalla Libia verso Creta e la minuscola Gavdos. Negli anni precedenti, il percorso più battuto era quello breve e pericoloso verso le isole dell’Egeo orientale; i controlli intensificati e le accuse di respingimenti illegali hanno spinto i trafficanti a cercare itinerari più lunghi, più difficili e soprattutto più difficili da monitorare. In diverse operazioni recenti, la Guardia costiera greca ha intercettato pescherecci e gommoni provenienti dalle coste libiche, con carichi di centinaia di persone in una sola notte.

Il fenomeno si inserisce in un quadro globale ormai strutturale: nel 2024 nel Mediterraneo sono morte o scomparse almeno 2.452 persone, secondo il progetto Missing Migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). A livello mondiale, lo stesso anno ha registrato 8.938 morti lungo le rotte migratorie. Nei primi dieci mesi del 2025, nonostante un calo complessivo degli arrivi irregolari nell’Unione europea, il numero di morti e dispersi in mare è rimasto elevatissimo, con oltre 1.300 vittime stimate nel Mediterraneo. Sono cifre che mostrano senza filtri il rischio che si assume chi sale su un gommone diretto verso l’Europa.

Nelle ore successive al ritrovamento, un elicottero Super Puma ha trasferito i due superstiti negli ospedali di Ierapetrae Heraklion, mentre le motovedette trasportavano le salme a terra per l’identificazione. Le autorità non hanno ancora reso note nazionalità e identità delle vittime, né il porto di partenza dell’imbarcazione. L’ipotesi più probabile rimane la Libia orientale, in linea con i movimenti monitorati negli ultimi mesi, ma si tratta di un elemento che dovrà essere verificato attraverso indagini giudiziarie, analisi forensi e le testimonianze dei sopravvissuti.

Come in ogni tragedia in mare, i tempi dell’identificazione saranno lunghi. Saranno cruciali gli oggetti ritrovati, i primi riscontri medici, la cooperazione con le autorità consolari. L’OIM ricorda che più di due morti su tre lungo le rotte migratorie non ottengono mai un’identità certa, un vuoto che pesa sui familiari e lascia irrisolte centinaia di storie spezzate.

Parallelamente corre la politica. Di fronte all’aumento degli sbarchi su Creta, il governo del premier Kyriakos Mitsotakis ha introdotto la sospensione per tre mesi dell’esame delle domande d’asilo per chi arriva via mare dall’Africa settentrionale, misura poi approvata dal Parlamento greco nel luglio 2025. L’esecutivo ha annunciato anche la creazione di un centro di detenzione a Creta e una più stretta cooperazione con le autorità libiche per intercettare i natanti prima che lascino le acque territoriali. È una linea che ha sollevato critiche da UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), da associazioni per i diritti umani e da parte dell’opposizione, che denunciano il rischio di violare il diritto d’asilo e il principio internazionale di non respingimento.

Nelle settimane precedenti al voto, sulle coste di Creta erano arrivate oltre 2.000 persone, e i numeri complessivi tra Creta e Gavdos avevano superato quota 10.000 dall’inizio dell’anno. Il governo ha presentato le nuove norme come “misure d’emergenza per un’emergenza”. Per molti giuristi, però, l’emergenza non può essere la base per sospendere diritti fondamentali, soprattutto quando si parla di persone provenienti dalla Libia, dove detenzioni arbitrarie, violenze e trattamenti inumani sono documentati da anni.

Negli ultimi due anni, la costa meridionale di Creta – Ierapetra, Kaloi Limenes, Agia Galini – ha visto moltiplicarsi operazioni di ricerca e salvataggio. A volte la Guardia costiera ha soccorso centinaia di persone in una sola operazione: pescherecci alla deriva, gommoni sgonfi, barche in legno guidate da equipaggi improvvisati. L’isola, meta turistica tra le più affollate d’Europa, si è ritrovata ad affrontare picchi improvvisi di arrivi con strutture provvisorie spesso al limite.

Dal punto di vista operativo, l’Egeo meridionale è uno scenario complesso: distanze ampie, condizioni meteo instabili, un intenso traffico commerciale. Anche con il supporto di Frontex, la copertura del quadrante a sud di Gavdos e Chrysi resta difficile. L’avvistamento di sabato – un cargo civile che individua un gommone semi-sommerso – ricorda che, nella catena dei soccorsi, la prima segnalazione arriva spesso da navi mercantili, che diventano il primo anello di un salvataggio o, come in questo caso, di un recupero.

Le cause ricorrenti delle tragedie nel Mediterraneo sono sempre le stesse: sovraffollamento, scafi inadatti, mancanza di equipaggiamento di sicurezza, ipotermia dovuta all’esposizione prolungata, disidratazione in viaggi più lunghi del previsto. Un gommone parzialmente sgonfio costringe le persone a schiacciarsi nella parte centrale, riducendo la stabilità e aumentando il rischio di cedimenti. Ogni ora in più in mare, soprattutto in inverno, può trasformare un’avaria in una condanna. È quello che sospettano medici e investigatori anche per il naufragio di Chrysi.

Il vero lavoro inizia quando le sirene si spengono. Identificare diciotto salme senza documenti richiede il coordinamento tra polizia scientifica, medici legali, Interpol, autorità consolari e i canali internazionali per la notifica alle famiglie. L’OIM ricorda che la maggioranza dei morti in migrazione resta senza nome, un vuoto che pesa sulle ricerche delle famiglie e sulla memoria collettiva. Intanto i due superstiti saranno ascoltati dagli inquirenti: le loro parole sono decisive per ricostruire chi ha organizzato il viaggio, da dove è partito il gommone e quali condizioni abbiano portato alla tragedia. In casi simili, tra i sopravvissuti vengono talvolta identificati presunti scafisti, con accuse che vanno dal favoreggiamento dell’immigrazione irregolare all’omicidio colposo. Sarà la magistratura a stabilire se anche stavolta esistono elementi di responsabilità penale.

Di fronte all’ennesima serie di corpi recuperati in mare, la discussione pubblica scivola spesso in un confronto sterile tra chiusura e accoglienza. La realtà è più complessa e richiede soluzioni pratiche: un rafforzamento strutturale della capacità di ricerca e soccorso, sbarchi rapidi e distribuiti, canali legali che riducano il potere dei trafficanti, meccanismi europei per identificare le vittime e informare le famiglie. Nell’area tra Gavdos e Chrysi, servirà un dispositivo che integri mezzi navali, assetti aerei, radar e la rete dei mercantili, trasformando ogni avvistamento in un protocollo automatico. È una lezione che l’incidente di sabato ribadisce: un gommone con una linea di galleggiamento così bassa può scomparire in poche ore.

La lista delle diciotto vittime è, per ora, un insieme di coordinate e numeri: sesso, età stimata, posizione del ritrovamento. Ma dietro ogni numero c’è un progetto interrotto, un percorso migratorio iniziato per necessità, una famiglia che aspetta un messaggio che non arriverà. Mentre la politica discute di asilo, di respingimenti, di deterrenza, il Mediterraneo continua a chiedere una cosa semplice: tempo. Tempo per arrivare, tempo per soccorrere, tempo per sopravvivere. A Chrysi, quel sabato, il tempo non c’è stato.

È certo che un gommone con a bordo solo uomini è stato trovato semi-sommerso a 26 miglia da Chrysi; è certo che due superstiti in condizioni critiche e diciotto salme sono state recuperate; è certo che Guardia costiera e Frontex hanno impiegato mezzi navali e aerei; non è ancora certo il porto di partenza dell’imbarcazione, anche se la Libia è un’ipotesi coerente con i movimenti degli ultimi mesi; sarà compito delle autopsie stabilire le cause della morte; è un fatto che il quadro politico greco è segnato dalla sospensione temporanea dell’asilo per chi arriva dal Nord Africa via mare, misura approvata nel luglio 2025.

Nella tragedia di Chrysi c’è tutto il linguaggio della frontiera: emergenza, deterrenza, cooperazione, soccorso. Ma manca ancora l’alfabeto che servirebbe davvero: quello che tiene insieme sicurezza e diritti, controllo e protezione. Finché non lo impariamo, continueremo ad aggiungere numeri a una lista che non dovrebbe esistere.


Fonti utilizzate:
Guardia costiera ellenica, Frontex, Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) – Progetto Missing Migrants, UNHCR, Governo della Repubblica Ellenica, dati operativi Guardia costiera greca, struttura sanitaria di Heraklion e Ierapetra.

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