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Giovani senza scuola né lavoro: la geografia nascosta delle periferie italiane

Dall’incontro “Periferie: dove cresce il futuro” emerge un Paese spaccato entro i suoi stessi confini urbani

Giovani senza scuola né lavoro: la geografia nascosta delle periferie italiane

In Italia, il futuro dei più giovani non si gioca soltanto tra regioni diverse, ma anche tra quartieri confinanti che, pur condividendo la stessa città, sembrano appartenere a mondi lontanissimi. È questa la fotografia scattata da Save the Children durante l’incontro romano “Periferie: dove cresce il futuro”, occasione nella quale l’organizzazione ha presentato dati aggiornati e annunciato la terza edizione della Biennale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza “IMpossibile 2026”, in programma dal 20 al 22 maggio e dedicata al tema “Investire sulle periferie, investire sull’infanzia”.

La dimensione del fenomeno è immediatamente evidente: più di un giovane su tre, esattamente il 36,8% degli italiani tra 0 e 24 anni, vive in una delle 14 città metropolitane, per un totale di 4,8 milioni di bambini, adolescenti e giovani adulti. Ma il dato più allarmante riguarda gli oltre 190mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni, cioè il 9%, che nelle stesse città non studiano e non lavorano. Un indice di esclusione pesante, che in alcune aree raggiunge livelli drammatici: a Napoli e Palermo sono circa 14 su 100 i giovani che restano fuori sia dai percorsi formativi sia dal mercato del lavoro.

La direttrice generale di Save the Children, Daniela Fatarella, ha sottolineato un punto centrale aprendo i lavori: «Rigenerare le periferie non è solo una questione urbanistica: è una scelta politica e culturale». Una frase che riassume la complessità di un problema che non riguarda soltanto la qualità degli spazi, ma il modo in cui questi spazi producono o limitano opportunità, influenzando destini individuali e collettivi.

Save the Children evidenzia come le disuguaglianze non si esauriscano nel confronto tra una città e l’altra. Anche all’interno della stessa città, talvolta dello stesso municipio, basta attraversare poche strade per passare da un quartiere in cui le possibilità sembrano alla portata di tutti a uno in cui le prospettive si restringono drammaticamente. Le analisi più recenti, elaborate grazie ai dati Istat, mostrano in modo impressionante la distanza tra aree urbane contigue.

A Milano, ad esempio, la forbice è ampia. Nel quartiere Ripamonti, uno dei più dinamici dal punto di vista dei servizi, l’abbandono scolastico precoce riguarda il 6,9% dei giovani, contro una media comunale del 12,4%, e il 14,6% dei ragazzi non studia e non lavora, rispetto al 20,4% cittadino. Ma basta spostarsi verso Parco Monluè – Ponte Lambro per trovare una realtà completamente diversa: qui il 28% dei giovani lascia la scuola prima del diploma e quasi uno su tre, esattamente il 32,1%, è Neet. Una distanza di poche fermate di autobus si traduce in un divario che condiziona l’intero percorso di vita.

Le differenze si fanno ancora più estreme nel capoluogo siciliano. A Palermo, dove il quadro comunale vede quasi un giovane su cinque (19,8%) abbandonare precocemente gli studi e uno su tre (32,4%) essere Neet, emergono quartieri che sfidano le statistiche nazionali. Nel rione Malaspina–Palagonia i numeri sono sensibilmente migliori: appena il 5,2% dei ragazzi lascia la scuola prima del tempo e il 17,3% non studia né lavora. Le famiglie in potenziale disagio economico sono solo il 2,2%, contro il 5,8% comunale.

Ma la situazione cambia radicalmente nel vicino Brancaccio–Ciaculli. Qui le famiglie in difficoltà economica salgono al 9,9%, un giovane su tre (33,1%) abbandona gli studi e quasi la metà, il 45,3%, è priva di un percorso formativo o lavorativo. Una porzione di città resta dunque intrappolata in un circolo vizioso in cui povertà economica, povertà educativa ed esclusione sociale si alimentano reciprocamente.

Il quadro di Roma non è diverso. Nel quartiere Trieste, meno del 2% delle famiglie è in potenziale disagio economico; l’abbandono scolastico precoce riguarda appena il 5,4% dei giovani (contro una media comunale del 9,5%) e i Neet sono il 17,2%, tre punti percentuali sotto la media della capitale. Ma nella zona della Magliana la geografia sociale cambia totalmente: più di un giovane su quattro (27,9%) lascia la scuola prima del previsto, mentre quasi due su cinque (38,7%) non studiano e non lavorano.

È lo specchio di città che crescono a velocità diverse, dove l’indirizzo di residenza diventa una variabile determinante del destino individuale. Dove si abita a 10 o 15 anni può influenzare dove si arriverà a 30: un elemento che Save the Children considera cruciale nel definire priorità politiche e investimenti, a partire proprio dalle periferie urbane.

L’orizzonte della Biennale “IMpossibile 2026” punta a rimettere al centro della discussione pubblica la condizione dei bambini e degli adolescenti che vivono nelle aree più fragili del Paese. Se il futuro delle nuove generazioni si costruisce nelle periferie, allora è lì che bisogna concentrare risorse, servizi, presidi educativi, spazi culturali, infrastrutture sportive e progetti sociali capaci di offrire alternative concrete ai percorsi di esclusione.

Perché la rigenerazione non è architettura: è equità. È garantire che un ragazzo di Ponte Lambro, Brancaccio o Magliana possa avere le stesse possibilità di chi cresce a Trieste, Ripamonti o Malaspina-Palagonia. È un lavoro lento e profondo, che riguarda scuola, lavoro, mobilità sociale e qualità della vita.

Solo così, ripete Save the Children, il futuro potrà davvero crescere nelle periferie.

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