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05 Dicembre 2025 - 23:13
In Italia, il futuro dei più giovani non si gioca soltanto tra regioni diverse, ma anche tra quartieri confinanti che, pur condividendo la stessa città, sembrano appartenere a mondi lontanissimi. È questa la fotografia scattata da Save the Children durante l’incontro romano “Periferie: dove cresce il futuro”, occasione nella quale l’organizzazione ha presentato dati aggiornati e annunciato la terza edizione della Biennale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza “IMpossibile 2026”, in programma dal 20 al 22 maggio e dedicata al tema “Investire sulle periferie, investire sull’infanzia”.
La dimensione del fenomeno è immediatamente evidente: più di un giovane su tre, esattamente il 36,8% degli italiani tra 0 e 24 anni, vive in una delle 14 città metropolitane, per un totale di 4,8 milioni di bambini, adolescenti e giovani adulti. Ma il dato più allarmante riguarda gli oltre 190mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni, cioè il 9%, che nelle stesse città non studiano e non lavorano. Un indice di esclusione pesante, che in alcune aree raggiunge livelli drammatici: a Napoli e Palermo sono circa 14 su 100 i giovani che restano fuori sia dai percorsi formativi sia dal mercato del lavoro.
La direttrice generale di Save the Children, Daniela Fatarella, ha sottolineato un punto centrale aprendo i lavori: «Rigenerare le periferie non è solo una questione urbanistica: è una scelta politica e culturale». Una frase che riassume la complessità di un problema che non riguarda soltanto la qualità degli spazi, ma il modo in cui questi spazi producono o limitano opportunità, influenzando destini individuali e collettivi.
Save the Children evidenzia come le disuguaglianze non si esauriscano nel confronto tra una città e l’altra. Anche all’interno della stessa città, talvolta dello stesso municipio, basta attraversare poche strade per passare da un quartiere in cui le possibilità sembrano alla portata di tutti a uno in cui le prospettive si restringono drammaticamente. Le analisi più recenti, elaborate grazie ai dati Istat, mostrano in modo impressionante la distanza tra aree urbane contigue.

A Milano, ad esempio, la forbice è ampia. Nel quartiere Ripamonti, uno dei più dinamici dal punto di vista dei servizi, l’abbandono scolastico precoce riguarda il 6,9% dei giovani, contro una media comunale del 12,4%, e il 14,6% dei ragazzi non studia e non lavora, rispetto al 20,4% cittadino. Ma basta spostarsi verso Parco Monluè – Ponte Lambro per trovare una realtà completamente diversa: qui il 28% dei giovani lascia la scuola prima del diploma e quasi uno su tre, esattamente il 32,1%, è Neet. Una distanza di poche fermate di autobus si traduce in un divario che condiziona l’intero percorso di vita.
Le differenze si fanno ancora più estreme nel capoluogo siciliano. A Palermo, dove il quadro comunale vede quasi un giovane su cinque (19,8%) abbandonare precocemente gli studi e uno su tre (32,4%) essere Neet, emergono quartieri che sfidano le statistiche nazionali. Nel rione Malaspina–Palagonia i numeri sono sensibilmente migliori: appena il 5,2% dei ragazzi lascia la scuola prima del tempo e il 17,3% non studia né lavora. Le famiglie in potenziale disagio economico sono solo il 2,2%, contro il 5,8% comunale.
Ma la situazione cambia radicalmente nel vicino Brancaccio–Ciaculli. Qui le famiglie in difficoltà economica salgono al 9,9%, un giovane su tre (33,1%) abbandona gli studi e quasi la metà, il 45,3%, è priva di un percorso formativo o lavorativo. Una porzione di città resta dunque intrappolata in un circolo vizioso in cui povertà economica, povertà educativa ed esclusione sociale si alimentano reciprocamente.
Il quadro di Roma non è diverso. Nel quartiere Trieste, meno del 2% delle famiglie è in potenziale disagio economico; l’abbandono scolastico precoce riguarda appena il 5,4% dei giovani (contro una media comunale del 9,5%) e i Neet sono il 17,2%, tre punti percentuali sotto la media della capitale. Ma nella zona della Magliana la geografia sociale cambia totalmente: più di un giovane su quattro (27,9%) lascia la scuola prima del previsto, mentre quasi due su cinque (38,7%) non studiano e non lavorano.
È lo specchio di città che crescono a velocità diverse, dove l’indirizzo di residenza diventa una variabile determinante del destino individuale. Dove si abita a 10 o 15 anni può influenzare dove si arriverà a 30: un elemento che Save the Children considera cruciale nel definire priorità politiche e investimenti, a partire proprio dalle periferie urbane.
L’orizzonte della Biennale “IMpossibile 2026” punta a rimettere al centro della discussione pubblica la condizione dei bambini e degli adolescenti che vivono nelle aree più fragili del Paese. Se il futuro delle nuove generazioni si costruisce nelle periferie, allora è lì che bisogna concentrare risorse, servizi, presidi educativi, spazi culturali, infrastrutture sportive e progetti sociali capaci di offrire alternative concrete ai percorsi di esclusione.
Perché la rigenerazione non è architettura: è equità. È garantire che un ragazzo di Ponte Lambro, Brancaccio o Magliana possa avere le stesse possibilità di chi cresce a Trieste, Ripamonti o Malaspina-Palagonia. È un lavoro lento e profondo, che riguarda scuola, lavoro, mobilità sociale e qualità della vita.
Solo così, ripete Save the Children, il futuro potrà davvero crescere nelle periferie.
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