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04 Dicembre 2025 - 18:32
A Chialamberto l’allarme non semplicemente suona. Rimbomba. E lo fa con quella forza che solo le valli sanno restituire quando qualcosa, nel loro equilibrio millenario, rischia di spezzarsi. Tra i pendii della Val Grande, dove l’acqua dello Stura detta da secoli il ritmo della vita, è nata una protesta che oggi non è più soltanto un borbottio di paese ma un fronte strutturato, con 341 firme già depositate e una petizione che continua a crescere giorno dopo giorno. La raccolta firme è ancora aperta, e chiunque voglia sostenere la causa può aggiungere il proprio nome a un documento che da settimane circola in valle, nelle borgate, nei negozi, nelle botteghe artigiane e nelle case di chi questa montagna la abita davvero.
Il cuore della mobilitazione ha un nome e un volto: Mario Gagliardi, falegname di Chialamberto, uomo di legno e di valle, che allo Stura non guarda solo come a un torrente da attraversare o ascoltare, ma come a un compagno di vita. Da quando ha saputo che la società Balma S.r.l. – già nota come Brixia Energia – ha presentato un progetto per realizzare un impianto idroelettrico lungo il tratto dello Stura in zona Pratolungo, Gagliardi ha capito che il silenzio non sarebbe stato un’opzione. Ha studiato carte, recuperato una vecchia petizione del 2012, l’ha aggiornata e rilanciata. È nato così un documento che, nelle prossime settimane, sarà consegnato alle istituzioni: Comune di Chialamberto, Città Metropolitana di Torino, Regione Piemonte.
Il progetto presentato da Balma S.r.l. è tecnicamente ambizioso: prevede la captazione di acqua in prossimità del ponte di Pratolungo, la realizzazione di una condotta sotterranea di 120 centimetri di diametro e la costruzione di una centrale di produzione in via Gabbi. Un intervento industriale in piena regola, che dovrebbe incanalare la forza dell’acqua e trasformarla in energia e profitto. Per i cittadini, tuttavia, la domanda è una sola, semplice e insieme gigantesca: a quale costo?
A Chialamberto l’acqua ha una memoria lunga. Non è un dettaglio poetico, ma una verità incisa nella storia recente della valle. L’alluvione del 1993 e quella del 2000 lasciarono ferite profonde: strade crollate, abitazioni evacuate, ponti danneggiati, smottamenti e paure che ancora oggi ritornano ogni volta che il cielo si fa troppo scuro. Non un evento remoto, non un ricordo lontano: un monito vivo, che rende comprensibile la preoccupazione per la sicurezza idraulica dell’area in cui Balma vorrebbe avviare l’opera.
I piani urbanistici parlano chiaro: zona ad alto rischio idraulico. E in una zona così fragile, qualsiasi intervento che tocchi la morfologia del fiume, che alteri i sedimenti o che riduca la portata, può innescare dinamiche imprevedibili. La paura degli abitanti – ed è una paura concreta, fondata, storicamente giustificata – è che un’opera nata per produrre energia possa, di fatto, alimentare le condizioni per un nuovo disastro.
C’è poi un’altra questione, altrettanto decisiva: il destino dell’acqua. La captazione prevista rischia di ridurre drasticamente la portata dello Stura, soprattutto nei mesi critici, quando lo scioglimento dei ghiacciai non è più quello di un tempo e le sorgenti si assottigliano. Lo Stura non è solo un torrente. È un ecosistema. È territorio. È economia diffusa. Significa pesca sportiva, rafting, turismo escursionistico, refrigerio estivo, biodiversità. Significa identità di una valle. Significa suono, presenza, vita.
Svuotarlo per alimentare una turbina equivarrebbe, per molti, a togliere ossigeno a una comunità che già fatica a restare in piedi.

La Stura in Val Grande
La condotta sotterranea, inoltre, richiederebbe scavi profondi in una prateria valliva usata da generazioni per il foraggio, un terreno che non è affatto marginale, ma parte essenziale del ciclo produttivo degli allevatori della zona. Intervenire su quel prato significa intervenire sul loro reddito, sulla loro programmazione annuale, sulla sostenibilità delle aziende agricole che mantengono viva una parte cruciale dell’economia montana.
Il progetto della centrale in via Gabbi colpirebbe poi un’area oggi destinata alle attività artigianali e commerciali. Gagliardi, come molti abitanti, teme che questo intervento sottrarrebbe al paese non solo uno spazio fisico, ma una prospettiva di futuro. Colpire il tessuto produttivo, in una valle che negli ultimi vent’anni ha combattuto contro lo spopolamento, sarebbe come togliere una trave portante a una casa già fragile.
Un paradosso, poi, balza all’occhio di chi conosce la zona: l’area individuata per la centrale è vicina al “percorso natura”, un sentiero recuperato di recente con fondi pubblici per valorizzare l’ambiente e il turismo lento. Un investimento che rischia di essere neutralizzato da un’opera industriale invasiva, dal rumore dei cantieri, dal transito dei mezzi pesanti, dalla struttura stessa della centrale.
La petizione di Gagliardi non è un rifiuto cieco. Non è la solita opposizione pregiudiziale. È un invito alla prudenza, alla trasparenza e alla partecipazione. Chiede che l’iter venga sospeso o rivisto, che le comunità locali vengano ascoltate, che i tecnici valutino l’opera non solo dal punto di vista energetico, ma anche idrogeologico, paesaggistico ed economico. Chiede, soprattutto, che non si ripetano gli errori del passato, che in questa valle hanno già lasciato segni profondi.
Chi firma oggi – e sono già 341 persone – non difende solo un tratto di torrente. Difende un modo di vivere la montagna, un equilibrio che non può essere sostituito dalla logica del profitto. Difende un’idea semplice e robusta: la montagna non è una riserva da sfruttare, ma un bene da custodire.
E mentre la petizione continua a circolare, mentre altre firme si aggiungono, una domanda risuona con forza sempre maggiore tra queste valli: quale futuro vogliamo per lo Stura, per Chialamberto, per l’intera Val Grande?
Per firmare la petizione CLICCA QUI.
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