Cerca

Attualità

Cinque anni promessi, otto mesi concessi: il mistero (comico) della cacciata di Schael

Mandato “temporaneo” lungo come un quinquennio, accordi con l’Università che evaporano, obiettivi copiati e incollati, refusi spacciati per dettagli: nella risposta dell’assessore Riboldi il caso Schael si trasforma in un capolavoro di incoerenze politiche e amministrative

Cinque anni promessi, otto mesi concessi: il mistero (comico) della cacciata di Schael

Nella foto: Federico Riboldi, Thomas Schael e Daniele Valle

Parliamo della nomina e della brusca rimozione di Thomas Schael, commissario straordinario dell’AOU Città della Salute di Torino, chiamato dalla Regione con toni quasi messianici — mancava solo la luce divina e la colomba — e scaricato otto mesi dopo con una motivazione che, a voler essere gentili, pare scritta a metà. Una mezza frase per una mezza spiegazione.

Ed è proprio su questa vicenda che il consigliere regionale del Pd Daniele Valle ha deciso di presentare un’interrogazione per chiedere alla Giunta di spiegare ciò che finora nessuno è riuscito a capire: perché Schael è stato scelto, perché è stato mandato via e, soprattutto, perché la Regione ha deciso di raccontare due versioni diverse della stessa storia a distanza di pochi mesi.

Nella risposta l’assessore Federico Riboldi tenta di imbastire un filo logico, una ricostruzione ordinata ma il risultato è tutto il contrario: un insieme di frasi che sembrano assemblate con il Vinavil, e neanche quello buono, piene di contraddizioni, giustificazioni che si annullano a vicenda, frasi per minimizzare anziché chiarire. Una risposta che, invece di chiudere la vicenda, la amplifica. Un classico.

Per capire il nodo, occorre partire dall’inizio, quando la Giunta regionale decide di commissariare la Città della Salute nominando Thomas Schael. Non un commissario qualsiasi, ma uno con un mandato che definire “robusto” è un eufemismo: cinque anni. Cinque. Non un incarico “nelle more della nomina del Direttore Generale”, ma un quinquennio vero e proprio, più lungo del mandato di chi dovrebbe guidare l’azienda in condizioni ordinarie.

Una scelta che Valle definisce “in palese contraddizione con la natura stessa della figura del commissario straordinario”, che per legge è un incarico “temporaneo ed eccezionale”. Il punto è che, al momento della nomina, nessuno parla di temporaneità. Non Riboldi, non la Giunta, non la delibera. Il mandato è quinquennale e basta. Poi, otto mesi dopo, l’inversione di rotta: Schael viene revocato e al suo posto arriva Livio Tranchida, questa volta come Direttore Generale.

Livio Tranchida

Ed è qui che accade l’incredibile: la Giunta, che fino ad allora aveva ignorato la questione, si accorge improvvisamente che il commissario straordinario deve essere “eccezionale e temporaneo”. E lo scrive. Lo scrive proprio nella delibera con cui lo manda a casa, come se la scoperta fosse avvenuta in quel preciso istante. In pratica, usa un principio che non aveva usato per nominarlo per giustificare la sua rimozione. Valle lo fa notare e lo fa con precisione chirurgica. A quel punto Riboldi tenta l’arrampicata: la durata di cinque anni, dice, era solo “indicativa”, una sorta di “proiezione temporale”, non una durata effettiva. Ma allora perché scriverla? Perché inserirla nero su bianco in un atto amministrativo che ha effetti legali? E soprattutto: come può un quinquennio essere una “proiezione”? Una previsione meteo? Uno zodiaco amministrativo?

Davanti a queste domande, la risposta dell’assessore non chiarisce, anzi solleva nuovi interrogativi.

La motivazione formale della revoca cita poi un decreto del Tribunale di Torino che parla di “violazioni al principio di lealtà e trasparenza nelle relazioni sindacali”. Un elemento pesante, decisivo, che se vero avrebbe dovuto essere spiegato nei dettagli. Invece no. La delibera lo cita con un numero di registro, un riferimento generico e nessuna spiegazione.

Valle chiede perché la Giunta abbia scelto la strada dell’allusione anziché quella della chiarezza. Riboldi risponde che si tratta di “questioni coperte da riservatezza” e che comunque gli elementi sarebbero “desumibili dagli atti pubblici”. Il paradosso è evidente: abbastanza pubblico per essere citato come causa della revoca, troppo riservato per essere spiegato. Il famoso mistero della trasparenza selettiva. E questo non sfugge nemmeno al lettore più distratto.

A complicare ulteriormente il quadro c’è poi la questione della “prova generale”. In Commissione, lo stesso Riboldi aveva dichiarato che Schael era stato scelto perché si era “concordato con l’Università un periodo di prova”. Parole testuali. Ma nella risposta ufficiale, quando Valle chiede di vedere questo accordo, succede qualcosa che rasenta l’incredibile: la Regione dichiara che non esiste alcun accordo. Nessuna intesa, nessun documento, nessuna comunicazione ufficiale. Nulla. E allora perché l’assessore, di fronte ai consiglieri, ha parlato di un’intesa? Perché si è presentata come una giustificazione una cosa che non esiste? Qui la risposta non solo non chiarisce, ma apre un buco. Un buco largo come un’autostrada. La verità è che quel “periodo di prova” assomiglia molto più a una toppa messa lì, al volo, quando ormai Schael era già stato mandato via e bisognava spiegare in qualche modo una scelta che nessuno era più disposto a difendere.

Ma il capolavoro involontario arriva con l’Allegato A. Quando la Giunta nomina il nuovo direttore generale, Livio Tranchida, gli assegna esattamente gli stessi obiettivi dati a Schael. Identici. E non solo: il documento che dovrebbe definire gli obiettivi del Direttore Generale porta ancora il titolo “obiettivi di mandato commissariale”. Una svista così macroscopica che persino un principiante della burocrazia capirebbe che qualcosa non torna. Riboldi prova a smorzare, dicendo che si tratta di un “mero refuso materiale”. Un refuso? Nel documento più importante della governance di una delle aziende ospedaliere più grandi d’Italia? Un refuso che riguarda non una virgola, ma il titolo stesso dell’atto che assegna gli obiettivi strategici? Anche volendo crederci, è un refuso che assomiglia troppo a un copia-incolla fatto in fretta, come se la Giunta avesse premuto “duplica” invece che “redigi”.

E così, pezzo dopo pezzo, la versione dell’assessore Riboldi appare come quello che è: un tentativo di normalizzare ciò che normale non è. La decisione di nominare Schael con un mandato di cinque anni presentata come temporanea. La decisione di revocarlo presentata come inevitabile. La mancanza di motivazioni dettagliate travestita da tutela della riservatezza. L’intesa con l’Università che prima esiste, poi non esiste più. Gli obiettivi commissariali che trasmigrano pari pari nell’incarico del direttore generale, ma è solo un refuso.

E alla fine, nella parte conclusiva della risposta, la frase che suona come la morale forzata di una favola scritta male e pure mal riletta: “non può ritenersi che la Giunta abbia affidato la gestione dell’Azienda a una figura meno idonea”.

Peccato che la Giunta regionale, implicitamente e a tratti esplicitamente, abbia definito il commissario meno idoneo di un direttore generale ordinario. Uno che secondo Valle, con un mandato teoricamente quinquennale, avrebbe dovuto programmare la strategia di lungo periodo e che invece è stato scartato per far posto a una figura ritenuta più stabile, più rappresentativa, più adeguata.

Il risultato finale è un’accozzaglia di giustificazioni che non stanno insieme neanche volendo, neanche sforzandosi. La Regione ha voluto Schael per cinque anni e l’ha mandato via in otto mesi. Ha detto che era temporaneo, ma l’ha blindato con un mandato lungo. Ha detto che esisteva un accordo, ma non esiste. Ha detto che gli obiettivi erano diversi, ma erano identici. Ha detto che la revoca era motivata, ma non ha spiegato la motivazione. E ha detto che la sua risposta chiariva, ma in realtà ha aggiunto nuove domande.

In tutto questo, l’unica cosa limpida è la sensazione che il caso Schael sia stato gestito male dall’inizio alla fine. Ed è difficile immaginare che l’assessore Riboldi non se ne renda conto: nella sua risposta, ogni frase suona come un tentativo di tenere insieme una versione dei fatti che non regge più. E quando la politica è costretta a ripiegare su “proiezioni temporali”, “refusi materiali” e “motivi riservati”, è evidente che la verità giace da un’altra parte, e che qualcuno spera di non doverla mai raccontare davvero.

La raccontiamo noi. Perché da una parte c’era Schael, che voleva portare avanti il suo mandato alla lettera, riportando all’interno della Città della Salute i tanti primari che si riempiono il portafoglio fuori con l’intramoenia, che avrebbe tagliato le tante convenzioni ancora esistenti con le cliniche e le strutture private; e dall’altra un direttore che su questo fronte si limiterà a fare il minimo necessario, che è poi quello che chiede la politica.

Insomma: Schael faceva sul serio.
E questo — in certi palazzi — è sempre un problema.

E allora forse la domanda vera non è perché Schael sia stato mandato via.
La domanda vera è: chi aveva paura che Schael restasse?

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori