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03 Dicembre 2025 - 10:17
Il Torino compie 119 anni ma rischia di affondare: festa oscurata da sconfitte, paura e un Milan pronto a colpire
Il Torino Football Club compie 119 anni. Una ricorrenza enorme, carica di memoria e identità, nata ufficialmente il 3 dicembre 1906, quando un gruppo di appassionati – in gran parte stranieri – si riunì nella notte sotto la guida dello svizzero Alfredo Dick per fondare una nuova società calcistica. “Nella notte, alcuni appassionati, in gran parte stranieri, sotto la guida e il fervore dello svizzero Alfredo Dick danno vita ad un nuovo club che avrà maglia granata e pantaloncini bianchi”, ricorda oggi la nota ufficiale del club. Quel colore, il granata, sarebbe diventato presto simbolo eterno, bandiera di una squadra capace di attraversare la storia italiana con una forza emotiva difficilmente replicabile.
“119 anni di orgoglio e di passione, questo dice la storia. Una storia che continua”, ha scritto il presidente Urbano Cairo. Parole doverose in un giorno che dovrebbe profumare di celebrazione, ma che arriva invece in uno dei momenti più difficili della stagione granata. La squadra allenata da Marco Baroni è reduce da due sconfitte pesanti, contro Como e Lecce, non vince dal 26 ottobre e ha soltanto quattro punti di margine sulla zona retrocessione. Lunedì 8 dicembre, allo stadio Olimpico Grande Torino, è attesa la capolista Milan, in un match che rischia di pesare molto più dei tre punti in palio.
Il compleanno amaro di oggi rende inevitabile guardare indietro, ripercorrendo una storia che ha pochi eguali nel calcio italiano. Il Torino nasce come atto di rottura, frutto della spaccatura interna alla Juventus che portò Dick – imprenditore tessile, carattere forte, mentalità svizzera e rigore piemontese – a lasciare la società bianconera per fondarne una nuova, con un’identità opposta. Non più un club dell’élite aristocratica, ma una squadra vicina alla borghesia produttiva e ai lavoratori. La scelta del granata, secondo la tradizione più accreditata, fu un omaggio alla Brigata Savoia, che in epoca sabauda vestiva quel colore. Un simbolo di resistenza e combattività che, con il passare degli anni, si sarebbe cucito addosso a tutte le generazioni granata.

Il momento più alto della storia del Torino è universalmente riconosciuto negli anni del Grande Torino, la formazione guidata da Valentino Mazzola, capace di dominare il calcio italiano con cinque scudetti consecutivi e un gioco avanzato di decenni rispetto ai tempi. Quei campioni, quegli schemi, quel modo di interpretare la partita resero il Toro una delle squadre più forti al mondo. La tragedia di Superga, il 4 maggio 1949, spezzò tutto in un istante: l’aereo che riportava la squadra da Lisbona si schiantò contro la basilica sulla collina. Morirono in 31. Non morì soltanto una squadra: morì un’epoca. Ma nacque, nello stesso momento, una leggenda che ancora oggi attraversa il club come una corrente invisibile.
Il dopoguerra fu una lenta, difficile ripartenza. Negli anni Sessanta arrivò la prima vera scintilla con la Coppa Italia 1968, seguita dall’epoca migliore del periodo moderno: gli anni Settanta. Il Torino tornò grande con l’allenatore Gigi Radice, autore di un calcio aggressivo e moderno, culminato nello scudetto del 1976. La coppia Pulici-Graziani, i “gemelli del gol”, divenne un’icona nazionale. Era un calcio diverso, meno globalizzato, con un senso di appartenenza che oggi sembra lontanissimo.
Gli anni Ottanta e Novanta furono un susseguirsi di salite e discese, fino alla retrocessione del 1989 e alla successiva risalita, con la vittoria della Mitropa Cup (1991) e la leggendaria finale di Coppa UEFA 1992, persa ai rigori contro l’Ajax dopo due partite straordinarie. La squadra aveva carattere, qualità, identità. E anche se mancavano i mezzi economici dei grandi club europei, il Torino riuscì a costruire pagine memorabili.
Il nuovo millennio fu invece segnato dalle difficoltà economiche. Nel 2005 arrivò il fallimento e la ripartenza da zero. A risollevare il club fu Urbano Cairo, che prese in mano una società dilaniata dai debiti e la riportò a una stabilità che, pur tra alti e bassi, dura ancora oggi. Con lui il Toro ha vissuto stagioni di buon livello, come quella del 2013-2014 con Ventura in panchina, culminata nell’Europa League e nel trionfo di Bilbao contro l’Athletic, forse la notte più emozionante dell’era moderna.
Ma le ultime stagioni hanno riportato la squadra a fare i conti con sofferenze troppo frequenti: salvezze ottenute all’ultimo, progetti tecnici che non hanno trovato continuità, un’identità sfumata. Quest’anno, l’arrivo di Marco Baroni sembrava poter aprire un ciclo nuovo, più pragmatico, più concreto. Dopo un avvio discreto, però, il Torino è tornato a faticare. Segna poco, crea poco e fatica a reagire nei momenti di difficoltà. I tifosi, abituati a soffrire ma mai rassegnati, chiedono di più. Chiedono soprattutto una squadra in grado di rispettare la propria storia.
Ed è impossibile ignorare quanto questa storia pesi anche oggi. Il Torino non è un club come gli altri. Porta con sé una memoria collettiva fatta di gloria, tragedia, rinascita. È una squadra che vive in un costante equilibrio tra passato e presente, tra pesi e orgoglio, tra la necessità di reinventarsi e quella di non tradire la propria identità. Ogni compleanno, per il Toro, è un promemoria: si celebra il passato, ma si chiede al presente di essere all’altezza.
In vista del match contro il Milan, la squadra avrà davanti un’occasione complessa ma preziosa. Queste partite, per il Torino, hanno sempre avuto un valore simbolico più grande della classifica. È una sfida che arriva nel momento più difficile possibile, ma spesso il Torino ha dimostrato di sapersi ritrovare proprio quando è più in difficoltà. L’atmosfera dello stadio, l’energia dei tifosi, il peso dei 119 anni di storia potrebbero diventare una leva emotiva significativa.
Il compleanno granata di quest’anno non porta leggerezza né festa. Porta domande, attese, responsabilità. Ma porta anche una certezza: il Torino continua. Continua nonostante le sconfitte, nonostante gli inciampi, nonostante le cicatrici. È la natura stessa del club. Il Toro cade, sempre. Ma si rialza, sempre. È questo che oggi la sua storia ricorda alla squadra.
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