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Porta Susa, pendolari nel caos: treno puntuale ma porte bloccate

Ritardi, carrozze inutilizzabili e corse da un binario all’altro: alle 17 la vita dei pendolari si trasforma nell’ennesima prova di resistenza. “Vergogna!”, urla una passeggera schiacciata dalla folla

Porta Susa, pendolari nel caos: treno puntuale ma porte bloccate

Porta Susa, pendolari nel caos: treno puntuale ma porte bloccate

Alle 17.05, a Torino Porta Susa, la vita dei pendolari scorre secondo il solito copione. È l’ora di punta, quella in cui la stazione si riempie di chi esce dagli uffici, di chi corre per non perdere la coincidenza, di chi vuole solo tornare a casa. Sul binario 6 arriva puntuale il treno 26224 per Chivasso. Puntuale sì, ma non per questo funzionante.

Tre carrozze su sei hanno le porte che non si aprono. Rimangono chiuse, immobili, come se non facessero parte del convoglio. Il risultato è immediato: centinaia di persone si ammassano davanti alle uniche due porte accessibili. Un imbuto umano che cresce nel giro di pochi secondi. La fila si allunga, si stringe, poi si compatta. C’è chi spinge, chi perde la pazienza, chi prova anche solo a mantenere un minimo di calma. Le voci si sovrappongono, gli insulti iniziano a volare, qualcuno batte un pugno sul vagone per sfogare la frustrazione.

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Il capotreno le tenta tutte: scende, risale, riprova, parla via radio. Ma la situazione resta identica. Il treno non parte. Rimane fermo, pieno, caldo, esasperante. Minuto dopo minuto l’umore peggiora, e il viaggio per molti, semplicemente, si trasforma in un incubo prima ancora di iniziare.

Alla fine parte, ma ormai è tardi: arriverà a Chivasso con circa 30 minuti di ritardo. Un classico di un servizio che da anni alterna puntualità formale a disservizi sostanziali.

Intanto succede ciò che tutti i pendolari conoscono fin troppo bene: la fuga verso un’alternativa. In molti abbandonano il binario 6 e si lanciano, letteralmente, verso un altro treno, il 17.34 per la Valle d’Aosta, sperando che almeno quello si riveli più affidabile. Non va meglio. Il convoglio si riempie fino all’ultimo centimetro quadrato. È la solita scena delle ore di punta: persone una contro l’altra, chi cerca di farsi spazio tra gomiti e zaini, chi alza gli occhi al soffitto come per cercare un punto di tregua.

Una signora, pressata tra altre due persone, perde la pazienza e urla un “Vergogna!” che rimbalza nel corridoio. Nessuno la contraddice. Anzi, molti la guardano con l’espressione di chi, se avesse fiato e spazio, direbbe la stessa cosa.

Perché la vita da pendolare, a quell’ora, è esattamente questo: una sfida quotidiana fatta di treni sovraffollati, di corse improvvise da un binario all’altro, di carrozze che non funzionano, di ritardi ingestibili. È una routine che richiede pazienza, capacità di adattarsi e una dose di ottimismo che spesso si esaurisce prima ancora di salire a bordo.

Eppure, giorno dopo giorno, i pendolari ci sono sempre. Salgono, aspettano, sopportano, ricominciano daccapo. Con la speranza minima ma fondamentale che il treno successivo, quello del giorno dopo o della settimana prossima, possa andare un po’ meglio del precedente.

Insomma, niente di nuovo. Solo un altro pomeriggio in cui il viaggio verso casa si trasforma in un percorso a ostacoli. Con una certezza: domani, alla stessa ora, la scena potrebbe ripetersi identica. E ci sarà di nuovo qualcuno che, schiacciato tra una porta difettosa e l'orologio che corre, penserà che sì, forse “vergogna” è davvero la parola più sincera per descrivere tutto questo.

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