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La penna “miracolosa” che fa dimagrire davvero? Solo per alcuni: per molti può diventare un rischio sottovalutato

Efficaci ma non per tutti: perché servono diagnosi precise, controlli costanti e percorsi strutturati per evitare illusioni e complicazioni

La penna “miracolosa”

La penna “miracolosa” che fa dimagrire davvero? Solo per alcuni: per molti può diventare un rischio sottovalutato

È l’oggetto del desiderio di molti, l’incubo di altri, la svolta medica che qualcuno attende da anni e che altri vorrebbero trasformare in scorciatoia. I nuovi farmaci per il diabete di tipo 2 usati oggi anche per perdere peso — in particolare semaglutide e tirzepatide — hanno cambiato la percezione del dimagrimento, ma non le sue regole. Funzionano, e molto, ma non risolvono tutto. Non a caso la farmacologa Adele Romano, coordinatrice del gruppo di lavoro della Società Italiana di Farmacologia dedicato a obesità e disturbi metabolici, frena entusiasmi fuori luogo: «Efficacia e sicurezza non sono uguali per tutti», ripete, ricordando che si tratta di strumenti terapeutici potenti, non di bacchette magiche.

Il loro meccanismo, infatti, è sofisticato. Semaglutide e tirzepatide imitano alcuni ormoni intestinali — i GLP-1 e il GIP — che regolano fame, sazietà e metabolismo. In pratica, abbassano l’appetito, aumentano la sensazione di pienezza e modificano il modo in cui il corpo utilizza l’energia. Risultato: un calo ponderale spesso evidente, a volte sorprendente. Ma questo effetto, netto e rapido, va gestito con competenza clinica, perché interferire su segnali biologici così fondamentali richiede equilibrio.

Non tutti, infatti, possono farne uso con leggerezza. Secondo Romano, le indicazioni reali sono due: obesità diagnosticata oppure sovrappeso associato a patologie correlate, come diabete, ipertensione o apnea notturna. Al di fuori di questi scenari, il rapporto tra benefici e rischi cambia. L’obiettivo estetico, da solo, non giustifica l’esposizione a una terapia che resta medica, non cosmetica. Ed è qui che si annida uno dei grandi equivoci generati dalla loro popolarità: l’idea che basti una penna sottocute per cambiare il rapporto con la bilancia.

Gli effetti avversi, d’altra parte, esistono e non vanno sottovalutati. I più comuni sono gastrointestinali — nausea, vomito, diarrea, stitichezza, dolore addominale — e rappresentano il motivo principale per cui alcuni pazienti interrompono il trattamento. Altri disturbi, come mal di testa o affaticamento, sono meno frequenti. Le complicazioni più serie, come pancreatiti o calcoli biliari, sono rare, ma possibili. Ogni organismo reagisce a modo suo, e tutto dipende da dosaggi, tempi di progressione e condizioni cliniche di partenza.

Nel dibattito pubblico è circolato anche il caso di Robbie Williams, che ha riferito un peggioramento della vista attribuito alla tirzepatide. Gli specialisti chiariscono che non ci sono prove dirette di una tossicità oculare del farmaco. Tuttavia, un calo molto rapido di peso e glicemia può stressare retina e vasi già fragili, favorendo, in persone predisposte, peggioramenti di retinopatia o episodi di neuropatia ottica ischemica. Un fenomeno raro, ma non inesistente. Anche qui, la parola d’ordine è selezione: non tutti i pazienti hanno lo stesso profilo di rischio, e non tutti possono permettersi cali repentini.

Per usarli in sicurezza servono quattro elementi: valutazione medica accurata, inserimento in un percorso che comprenda alimentazione equilibrata e attività fisica, monitoraggio regolare delle condizioni cliniche, educazione del paziente sui segnali d’allarme — soprattutto gastrointestinali e visivi. Il vantaggio terapeutico esiste e può essere enorme, ma solo se inserito in un contesto strutturato. La differenza tra opportunità e rischio ingiustificato sta tutta qui.

Per alcuni questi farmaci rappresentano un’occasione reale di miglioramento della salute metabolica, con benefici che vanno ben oltre la bilancia. Per altri, soprattutto per chi li considera una via rapida verso l’estetica desiderata, possono trasformarsi in un percorso costellato di problemi. Il punto, alla fine, è semplice: semaglutide e tirzepatide non sono scorciatoie. Sono strumenti potenti che richiedono consapevolezza, personalizzazione, guida medica e una visione chiara degli obiettivi. L’euforia collettiva è comprensibile. Ma il loro vero valore si vede solo quando la scienza, e non l’entusiasmo, guida la scelta.

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