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Kyiv sotto shock: cade Yermak, l’uomo che teneva in piedi il sistema Zelensky

Perquisito all’alba, dimesso al tramonto: il capo dell’Ufficio del Presidente travolto dall’inchiesta Energoatom che scuote il cuore del potere ucraino

Kyiv sotto shock: cade Yermak, l’uomo che teneva in piedi il sistema Zelensky

Andriy Yermak

All’alba, mentre i blackout programmati trasformano Kyiv in un labirinto di ombre spezzate dal ronzio dei generatori, il citofono di un elegante condominio del centro interrompe un silenzio innaturale. Davanti all’appartamento di Andriy Yermak, l’uomo più vicino al presidente Volodymyr Zelensky, si presentano gli investigatori di NABU (Ufficio Nazionale Anticorruzione) e SAPO (Procura Specializzata Anticorruzione). Poche ore più tardi, lo stesso Zelensky appare in un videomessaggio: “L’Ufficio del Presidente sarà riorganizzato. Il capo dell’Ufficio, Andriy Yermak, ha presentato le sue dimissioni”. È il 28 novembre 2025, e l’Ucraina, già schiacciata da attacchi russi e negoziati delicatissimi, registra il suo terremoto politico più forte dall’inizio dell’invasione su larga scala.

Secondo le informazioni ufficiali, la perquisizione a casa di Yermak si inserisce nella vasta inchiesta anticorruzione che investe la compagnia nucleare statale Energoatom, un colosso dell’energia da oltre 4 miliardi di euro di fatturato annuo. Gli inquirenti parlano di un sistema di “commissioni” tra il 10 e il 15% del valore dei contratti e di un flusso illecito stimato attorno ai 100 milioni di dollari. L’operazione, ribattezzata “Midas”, è il risultato di 15 mesi di indagini, più di mille ore di intercettazioni e decine di perquisizioni. Le autorità hanno annunciato arresti mirati e capi d’accusa per almeno sette imputati. Ma nessun atto indica Yermak come indagato.

La visita degli investigatori e l’immediata rinuncia dell’uomo più influente del sistema Zelensky hanno acceso all’istante il dibattito pubblico. Per molti ucraini si tratta di un gesto necessario per ricostruire la fiducia nelle istituzioni; per altri, di un rischio enorme nel mezzo di trattative sul cessate il fuoco e di una guerra che continua a colpire la rete energetica. Da Bruxelles è arrivato un messaggio che pesa come un macigno politico: le autorità anticorruzione ucraine “stanno facendo il loro lavoro”, una frase che nell’attuale passaggio dei negoziati di adesione all’Unione Europea vale come un attestato di affidabilità. L’Europa osserva e prende nota: la capacità dell’Ucraina di colpire la corruzione anche nei piani alti è una condizione essenziale per avanzare nei capitoli negoziali.

Zelensky

Per oltre cinque anni Andriy Yermak è stato più di un capo di gabinetto. Ex produttore cinematografico e avvocato, è entrato in politica nel 2019 al fianco di Zelensky, diventando il custode dei dossier più sensibili: rapporti con Washington e Bruxelles, coordinamento della Peace Formula, collegamenti con i partner del G7, controllo delle imprese statali e perfino supervisione del sistema delle nomine pubbliche. Con l’ex ambasciatore statunitense Michael McFaul ha co-fondato una piattaforma di esperti che ha contribuito a definire i pacchetti di sanzioni occidentali contro la Russia. A Kyiv molti lo chiamavano, non senza polemica, “il vice presidente”.

La sua figura ha diviso l’élite e l’opinione pubblica. Per i sostenitori, Yermak era il negoziatore totale, il garante della linea presidenziale. Per i detrattori, un accentratore che ha indebolito i contrappesi istituzionali, soprattutto nella torrida estate 2025, quando la maggioranza tentò di assoggettare NABU e SAPO al Procuratore generale, percepito come vicino al potere politico. La reazione della società civile, dei partner europei e dello stesso partito presidenziale fu tale da costringere a un passo indietro immediato.

La sequenza del 28 novembre è eloquente: perquisizione la mattina, annuncio delle dimissioni la sera, promessa di consultazioni sul successore “già sabato”. Nelle stesse ore, fonti internazionali scrivono che Yermak, fino ad allora capo del canale negoziale sostenuto dagli Stati Uniti, si sarebbe detto pronto a farsi da parte per non “danneggiare il Paese” con polemiche e sospetti. Reuters parla di un momento di “massima pressione interna ed esterna” su Kyiv; Washington Post, The Guardian ed Euronews sottolineano che la sua posizione era diventata politicamente insostenibile anche in assenza di un suo coinvolgimento giudiziario.

Quel giorno, la cronaca registra anche nuovi attacchi russi con droni e missili: tre civili uccisi nell’area di Kyiv, centraline energetiche colpite, blackout estesi. L’uscita dell’uomo che da anni tiene assieme i fili della macchina politico-militare arriva dunque nel momento peggiore, quando ogni ritardo nei processi decisionali può costare vite.

Al centro dell’inchiesta Energoatom ci sarebbe un sistema di “tangenti di ritorno” sui contratti della società. Tra i nomi emersi figura quello dell’imprenditore Tymur (Timur) Mindich, in passato legato al mondo professionale di Zelensky e considerato oggi uno dei possibili registi del network. Secondo varie testate, Mindich avrebbe lasciato il Paese; le autorità lo hanno colpito con sanzioni. L’Operazione “Midas” è stata costruita con 70 perquisizioni, monitoraggi e prove tecniche che le strutture anticorruzione giudicano solide. Ed è importante sottolineare, in modo netto, che Yermak non risulta indagato: le comunicazioni ufficiali parlano esclusivamente di “atti autorizzati” compiuti nella sua abitazione con la sua piena collaborazione.

Le prime reazioni all’annuncio delle dimissioni si dividono tra sollievo e inquietudine. Sollievo, perché una parte del Paese chiedeva un gesto simbolico per uscire dal pantano politico. Inquietudine, perché l’Ucraina perde, nel momento cruciale dei colloqui con gli Stati Uniti e con l’UE, il suo principale interlocutore e mediatore. Le Monde registra voci della maggioranza secondo cui una “soluzione simbolica” era ormai inevitabile, accanto a sussurri su possibili pressioni esterne per accelerare il rimpasto. Interpretazioni, non fatti accertati. Il dato politico è che questo passaggio segna un tornante della gestione della guerra.

La domanda chiave ora riguarda ciò che perde Zelensky. Perde la capacità di sintesi tra fronti militari, diplomatici ed economici che Yermak centralizzava. Perde un interlocutore unico per la Casa Bianca e per le cancellerie europee, proprio mentre si discute una nuova architettura di sicurezza per Kyiv. Perde un parafulmine politico, perché molte critiche sulla gestione verticistica del potere si concentravano proprio su di lui. Allo stesso tempo, il governo potrebbe guadagnare margini istituzionali, soprattutto se il successore sarà una figura meno divisiva. E potrebbe ottenere una maggiore legittimazione internazionale, dal momento che la gestione trasparente di un’inchiesta che sfiora il cuore del potere è considerata un segnale cruciale per partner e creditori.

Il rimpasto arriva mentre si intensificano le diplomazie per un eventuale cessate il fuoco. Emissari statunitensi e ucraini starebbero lavorando a un documento in più fasi che tocca territori occupati, garanzie di sicurezza e il futuro delle Forze Armate ucraine. In questo quadro, Yermak era il coordinatore informale. La sua uscita obbliga Kyiv a ridistribuire il lavoro tra il Presidential Office, il Ministero degli Esteri e il Consiglio di Sicurezza. Intanto, la guerra continua: i raid sul sistema elettrico dimostrano che il Cremlino punta a fiaccare la resilienza ucraina in pieno inverno.

Le dimissioni di Yermak hanno un’eco particolare perché ricordano la crisi di luglio 2025, quando la Rada approvò una legge che riduceva l’indipendenza delle autorità anticorruzione. Una decisione ritirata dopo proteste di piazza, pressioni europee e malumori interni. Quel braccio di ferro ha lasciato ferite profonde e un monito politico: toccare l’equilibrio del sistema anticorruzione ha costi elevatissimi.

Resta ora da capire chi guiderà l’Ufficio del Presidente e quale sarà l’esatto perimetro dell’inchiesta. E resta da misurare la reazione degli ucraini, provati da quasi quattro anni di guerra e da sacrifici sempre più pesanti. Ogni sospetto di corruzione, soprattutto nel settore dell’energia, si traduce in un sentimento di rabbia e frustrazione.

Anche fuori dall’incarico, l’impronta di Yermak non scomparirà. Le reti internazionali costruite negli anni, dai gruppi di lavoro sulle sanzioni alle relazioni con funzionari di Stati Uniti, Unione Europea e Paesi del G7, restano un capitale politico che potrebbe essere riutilizzato in forme diverse. Ma le priorità di Kyiv non cambiano: difesa aerea, munizioni, stabilizzazione della rete elettrica, continuità degli aiuti finanziari e un quadro politico che permetta di negoziare senza cedere sovranità.

In un Paese che combatte una guerra esistenziale, la lotta alla corruzione non è un capitolo aggiuntivo ma il cuore stesso della sua credibilità. La rinuncia di Andriy Yermak, l’uomo che ha incarnato la catena di comando accanto a Zelensky fin dai giorni più bui dell’invasione, è insieme un atto di responsabilità politica e la prova che il sistema tenta di resistere alle sue fragilità interne. Se questo terremoto aprirà una stagione di maggiore trasparenza o, al contrario, un periodo di instabilità, dipenderà da due fattori: la chiarezza dell’inchiesta Energoatom e la scelta del successore alla guida dell’Ufficio del Presidente. Nel videomessaggio del 28 novembre, Zelensky ha indicato la posta in gioco: “La Russia vuole che l’Ucraina sbagli. Non sbaglieremo”.

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