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Tacchini tra ammoniaca e ferite: così finiscono sulle nostre tavole le “carni festive” del gigante BRF

Un'indagine realizzata in Brasile svela le condizioni degli allevamenti legati a BRF, colosso internazionale del settore. Migliaia di animali stipati, lettiere mai sostituite e nessuna cura veterinaria: le immagini sollevano dubbi sulle promesse di sostenibilità dell’azienda

Tacchini tra ammoniaca

Tacchini tra ammoniaca e ferite: così finiscono sulle nostre tavole le “carni festive” del gigante BRF

Una nuova inchiesta di Animal Equality riapre il dibattito sulle condizioni degli allevamenti intensivi e sulla filiera internazionale della carne di tacchino, proprio alla vigilia delle festività in cui questo prodotto è tra i più consumati. I filmati, realizzati nello stato di Santa Catarina, in Brasile, documentano per la prima volta la vita quotidiana degli animali in una struttura collegata a BRF, uno dei maggiori produttori di carne al mondo e leader assoluto nel mercato brasiliano del tacchino.

Le immagini mostrano migliaia di tacchini stipati in un unico capannone, ammassati su un pavimento coperto da un substrato vegetale chiamato “lettiera”. Questo materiale, utilizzato per assorbire feci e urina, viene – secondo quanto ammesso dal proprietario dell’allevamento – sostituito solo ogni due anni, nonostante sia continuamente impregnato dagli escrementi di centinaia di animali.

L’inchiesta è stata condotta durante l’inverno brasiliano, quando i capannoni sono rimasti completamente chiusi per mantenere una temperatura interna costante. Una misura che ha però compromesso la ventilazione, favorendo l’aumento dei livelli di ammoniaca, una sostanza irritante che può causare lesioni oculari, difficoltà respiratorie e ustioni cutanee. Gli investigatori hanno documentato animali con evidenti ferite da contatto e un tacchino sanguinante, senza che – stando ai rilievi effettuati – fosse stata predisposta alcuna cura veterinaria.

Il ricorso minimo o nullo a trattamenti medici è uno dei punti più critici sollevati da Animal Equality. Il direttore esecutivo dell’associazione in Italia, Matteo Cupi, sostiene che nell’allevamento intensivo «gli animali stipati a migliaia non ricevono cure individuali», e che i produttori considererebbero «più conveniente affrontare la perdita di animali malati o morenti piuttosto che investire in interventi veterinari». Una logica economica, più che sanitaria, che si intreccia alla selezione genetica utilizzata per ottenere una crescita rapida e innaturale dei tacchini, predisponendoli a malattie e problemi respiratori.

Il rapporto di sostenibilità 2024 di BRF afferma che «la filiera dei tacchini ha arricchito l’ambiente nel 100% degli allevamenti dal 2021», citando la presenza di strutture e attività mirate al benessere animale. Le immagini raccolte nell’allevamento oggetto dell’inchiesta contraddicono però quella narrazione, mostrando spazi scarsi, assenza di stimoli ambientali e animali che non possono esprimere i comportamenti naturali della specie.

Le rivelazioni arrivano in un momento politicamente e socialmente sensibile. Il Brasile è uno dei principali esportatori di carne avicola al mondo; l’Europa, l’Italia compresa, importa parte della produzione di BRF sotto varie forme, dirette o lavorate. L’impatto del settore sull’ambiente e sulla salute pubblica è da anni al centro di un confronto serrato tra istituzioni, industria e movimenti animalisti.

Animal Equality chiede ora maggiore trasparenza lungo la filiera e un controllo più rigoroso sugli standard dichiarati dalle aziende. L’inchiesta, pubblicata con foto e video integrali, verrà con ogni probabilità utilizzata per sostenere campagne di sensibilizzazione e pressione politica, in vista di nuove normative sul benessere animale.

Resta una domanda di fondo: quanto conoscono i consumatori del percorso che porta un tacchino dal capannone al piatto delle Feste? Le immagini diffuse da questa indagine offrono una risposta cruda e difficilmente ignorabile, aprendo uno squarcio su un sistema produttivo che, dietro l’efficienza industriale, continua a sollevare interrogativi etici, sanitari e ambientali.

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