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14 Novembre 2025 - 11:18
Ore 8.13 e già tempo di "coda": Ivrea assediata dalla febbre da toppa
Ore 8.13. Ti svegli, guardi fuori e pensi che sia ancora troppo presto per qualunque forma di caos urbano. Invece no. In piazza Lamarmora c’è già la coda. Non una coda qualunque: quella dei Tuchini, quella delle iscrizioni “libere” che apriranno soltanto alle 21, quella che ogni anno trasforma un pezzo di Ivrea in un accampamento spontaneo fatto di sedie da campeggio, plaid, termos e gente che si passa il tempo come può, tra sbadigli e racconti da veterani della battaglia. È il primo segnale tangibile che il Carnevale 2026 è sempre più vicino, e che l’ansia da toppa ha già avuto la meglio su buona parte degli aranceri.
La scena è quasi surreale: ragazzi incappucciati appoggiati ai muri, gruppi seduti lungo il marciapiede che si scaldano le mani attorno ai bicchieri di caffè, qualcuno che controlla per la settima volta di aver stampato il modulo giusto. E intanto i commercianti iniziano a innervosirsi. «Così non si può andare avanti, poi la coda arriva fino alla chiesa. Almeno chiudessero la strada dalle 19…». Sbuffi, braccia conserte e vetrine mezze oscurate dalla folla. Perché se c’è una cosa che Ivrea conosce bene, è che quando aprono le iscrizioni dei Tuchini, non esiste orario, meteo o logica che tengano: la gente si piazza lì e aspetta, anche dodici ore prima.
Il Carnevale è ancora lontano, ma i preparativi stanno entrando nel vivo. Quest’anno, poi, c’è pure una novità importante: l’unificazione dei moduli d’iscrizione, frutto del lavoro dell’Associazione Aranceri a Piedi con la Fondazione. E per i minorenni cambia tutto. Non basterà più la firma di un genitore per scendere in piazza a tirare arance: servirà la firma congiunta di entrambi, tranne nei casi certificati di monogenitorialità. Una rivoluzione silenziosa che sta già creando code parallele… nei salotti di casa.
Intanto, in Borghetto, nella sede dei Tuchini, si arriva al capitolo decisivo dopo le serate di prelazione dedicate ai Corvi d’oro — cioè quelli che hanno dieci anni consecutivi di anzianità verderossa — e quelle riservate ai ragazzi degli Anni Verdi e Rossi. Sono già volate via oltre 500 toppe, e da questa sera e soprattutto da venerdì 14 novembre, chiunque potrà tentare di accaparrarsi le rimanenti. La stessa sera apriranno le iscrizioni anche i Credendari, mentre venerdì 21toccherà alle due squadre di piazza di Città, Picche e Morte, pronte a inaugurare il registro degli iscritti 2026. I Diavoli, da parte loro, apriranno venerdì 5 dicembre, con le prime tre date riservate agli iscritti dello scorso anno.
Particolarmente contorto, come da tradizione, il sistema dei Mercenari, che tra novembre e gennaio passeranno da iscrizioni riservate al gruppo operativo a quelle per i “vecchi iscritti”, e infine alle serate aperte a tutti, sempre ammesso che ci siano ancora posti. E poi ci sono Arduini, Scacchi e Pantera Nera, le tre compagini che devono ancora definire tempi e modalità. Proprio la Pantera, campione 2025, deciderà in queste ore la strategia per affrontare la vigilia da detentore del titolo.
Nel frattempo, fuori, il marciapiede parla da sé. È un miscuglio di attesa, freddo, ritualità e spirito di appartenenza. È quel momento dell’anno in cui Ivrea capisce che il Carnevale non è un evento: è una corrente che trascina tutti, volenti o nolenti. Le immagini della coda, con la gente assiepata davanti ai negozi ancora chiusi, raccontano più di mille comunicati. I ragazzi ridono, gli adulti discutono, qualcuno si lamenta, qualcuno offre biscotti al vicino di sedia. E i commercianti, tra un’occhiata storta e un sospiro, sanno già che non vinceranno la battaglia: perché quando partono le iscrizioni dei Tuchini non c’è niente che possa fermare questo fiume umano.
Insomma, il Carnevale non è nemmeno cominciato, ma l’adrenalina sì. E a Ivrea, si sa, certe tradizioni iniziano all’alba. Tutto il resto — l’odore delle arance, il rullare dei tamburi, il corteo del giovedì — verrà dopo. Per ora, il primo atto è questo: una coda che alle 8 del mattino è già lunga, già viva, già pronta a dirti che tra poco, pochissimo, sarà davvero Carnevale.


A Ivrea il senso civico non è un concetto astratto: è una scala gerarchica rigorosa, con le sue priorità. Non si fanno 15 ore di coda per pagare il bollo, perché sarebbe umiliante. Non si fanno quindici ore di coda alle Poste, perché il cittadino contemporaneo, tra un whatsapp e una bolletta, ha una dignità da difendere. Non si fanno quindici ore di coda nemmeno al pronto soccorso: se la tabella dice “Codice verde: sette ore”, il cittadino scuote la testa, impreca in tre lingue, si stringe la caviglia e torna a casa, zoppicante ma libero.
Poi però arriva il Carnevale, e l’universo conosciuto si mette in pausa. A quel punto sì: per una toppa, che alla fine non è che un quadratino di stoffa, l’eporediese fa ciò che non farebbe per nessuna causa umana, divina o amministrativa. Si piazza in coda alle otto del mattino per un evento che inizierà alle nove di sera, e lo fa pure contento. Lo stesso che, alla prima lettera dell’Agenzia delle Entrate, ingrigisce come un temporale sul Mombarone, qui sorride come un innamorato al primo appuntamento.
E mentre fuori dai negozi la coda cresce, si srotola, curva, si avvita su se stessa, qualcuno si domanda se non valga la pena proporla come nuovo sito UNESCO, s'intende la "coda".
Le persone prendono posizione come ai concerti negli anni Settanta: chi primo arriva meglio alloggia, sedie da campeggio, cappucci tirati giù, termos come trofei. Una processione che ricorda i viaggi della Fede, con un’unica differenza: qui non si chiede un miracolo, solo un posto nella squadra giusta.
Perché Ivrea non è una città come le altre. Qui il tempo non scorre: si misura. Non in stagioni, né in legislature, né in fidanzamenti. Si misura in attese. C’è chi divide la vita in trimestri lavorativi o in feste comandate; gli eporediesi no, loro la dividono tra “quando aprono le iscrizioni per la battaglia delle arance” e “quando aprono le iscrizioni l’anno prossimo”.
Intanto i commercianti guardano in alto, come a cercare conforto nelle nuvole, e mugugnano educatamente. I pedoni, dal canto loro, scendono in pista, zigzagando tra zaini e coperte con la grazia atletica di Alberto Tomba ai tempi d’oro. E alla fine, in questa coreografia involontaria, si capisce una cosa semplice e definitiva: in un Paese dove nessuno vuole aspettare per nulla, la coda del Carnevale è l’ultima forma di pazienza rimasta.
Forse perché è la sola che offre una ricompensa sincera. Niente timbri, niente certificati, nessuno sportellista che urla “avanti il prossimo”.
Solo una toppa. Una normalissima toppa. Che però, da queste parti, vale tutto.
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