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13 Novembre 2025 - 14:40
Roberta Bellesini e Giorgio Faletti
C’è un momento, nella vita di chi resta, in cui il passato smette di essere un ricordo e diventa un presagio.
Con Giorgio Faletti è accaduto spesso: piume che compaiono all’improvviso, coincidenze che sembrano messaggi, case che tornano a incrociarsi. A undici anni dalla sua morte, l’Italia riscopre la sua voce grazie al documentario “Signor Faletti”, disponibile su Raiplay. Un ritratto che restituisce l’uomo prima dell’artista, e che inevitabilmente riporta al centro lei, Roberta Bellesini, la donna che lo ha accompagnato negli anni più luminosi e in quelli più bui.
In un’intervista al Corriere della Sera, oggi Roberta ha raccontato l’inizio di tutto. E l’inizio, come spesso accade, non era promettente. «Quando l’ho visto la prima volta ho pensato: che cafone», dice. Aveva quindici anni, un bar di Asti come punto di ritrovo e l’età in cui una Ferrari rossa che si ferma davanti sembra più una scena da film dei Vanzina che un pezzo di vita reale. Faletti scende dall’auto con una modella “dalle gambe lunghe otto metri”, e l’impressione iniziale è quella che è: un tipo che ostenta. «Però aveva una faccia talmente simpatica che la brutta impressione svanì subito».
La loro storia, però, non nasce lì. Per una strana geometria del destino, la casa in cui Roberta era cresciuta diventa negli anni successivi la casa dei genitori di Faletti. Lui, nella mansarda. Lei, al piano di sotto, anni prima.
Due vite che si sfiorano senza toccarsi davvero, finché non arriva la sera del 2 luglio 2000, un’Italia che guarda gli Europei in tv, un piatto di spaghetti al pomodoro, un divano e un disco appena registrato. «Gli occhi grigio-azzurri, limpidi», ricorda Roberta. Un uomo più grande di vent’anni che la corteggia con la serietà di chi ha già finito la stagione degli sfizi.
Per Faletti, quegli anni coincidono con la crisi dei suoi lavori televisivi e con un tempo libero che diventa terreno fertile.
Nascono i racconti horror, poi il salto: il romanzo.
“Io uccido”, uscito nel 2002, è la detonazione di un destino nuovo. Ma Faletti alla presentazione non ci arriverà mai. La mattina del 6 novembre un ictus lo abbatte senza avvisare. Roberta, rientrando a casa, lo trova a terra. In coma. Un farmaco “sturalavandino”, come lo definiscono i medici, può salvarlo ma va somministrato subito. Lei deve decidere. Decide. E lui torna. «Dove mi avete ricoverato, a Las Vegas?», scherza nel letto del Niguarda, attaccato alle macchine.
Da lì in avanti la loro vita si rimette in moto, ma con un passo diverso. Le ricadute, il rischio, la paura. E poi la decisione che arriva mentre lui è di nuovo in ospedale: «Basta, sposiamoci». Ad agosto 2003, all’Elba, si sposano davvero.
Gli amici sono tanti, e importanti: Branduardi, De Gregori, Iacchetti, Nino Formicola, Antonio Ricci, la Gialappa’s. Ma nella malattia Faletti si protegge: non vuole farsi vedere così. È un uomo che soffre in silenzio, non per pudore ma per protezione degli altri. Un controllo della dignità che Roberta descrive senza eroismi.
Il vero colpo arriva per caso: una risonanza per un’ernia del disco che rivela una metastasi. Tumore al polmone. Parte la cura a Los Angeles, con un medico russo di cui si fida. E paradossalmente, quei mesi diventano una parentesi luminosa: Venice, Santa Monica, Hollywood, case cambiate ogni trenta giorni per contratto, serate con altri italiani, perfino l’incontro con Leonard Nimoy, il dottor Spock. «Non era arrabbiato. Non era triste. È stato un bel periodo», racconta Roberta.
Quando le terapie smettono di funzionare, tornano ad Asti. Faletti lavora fino all’ultimo, fino all’ultima canzone. Muore il 4 luglio 2014, a Torino, a 63 anni. Da allora, Roberta conserva le piume che compaiono nei momenti importanti. Le tiene in un cassetto. «Non credo sia un caso, ma un segno», dice. «Giorgio c’è, anche se non posso vederlo».

Signor Faletti è disponibile su Raiplay
Ed è forse per questo che il documentario “Signor Faletti” arriva oggi con un peso diverso. È la memoria di un uomo che non si è mai accontentato di una sola vita per volta. Comico, cantante, autore, attore, scrittore da milioni di copie, musicista, pittore, persino pilota di rally. In un’Italia che spesso pretende di incasellare tutti, Faletti ha fatto l’esatto contrario: ha rotto tutte le scatole in cui provavano a metterlo.
Nel docufilm ci sono i luoghi, le voci e le persone che lo hanno accompagnato. Da Paolo Conte, che ricorda l’ironia e l’appartenenza ad Asti, ai musicisti e agli amici di sempre, fino al cugino Mauro Vaccaneo e al grande Massimo Cotto, che compare con i suoi ricordi prima della sua recente scomparsa. Al centro, di nuovo, la voce di Roberta. Non quella che piange un passato, ma quella che lo custodisce. «Giorgio era un genio», dice. «Sapeva usare l’arte per parlare al cuore delle persone».
E forse è questa, oggi, la cifra della sua eredità. Un uomo che non ha mai smesso di reinventarsi e che, anche undici anni dopo, continua a farci la stessa domanda di sempre: cosa ce ne facciamo della paura? Faletti, con la sua vita, aveva già risposto. Ma per capirlo davvero, forse, bisogna guardare quella piuma che cade dove non dovrebbe. E ricordarsi che certi artisti non se ne vanno. Cambiano solo stanza.
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