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Cronaca
31 Agosto 2025 - 15:01
Aveva 24 anni, un lavoro al centralino del Tribunale dei minori e una routine fatta di autobus e telefonate di rassicurazione alla madre. Il 30 agosto 1995, Letizia Teglia è sparita lungo quel tragitto ordinario.
Da allora, per Angela Vortici — oggi 91 anni, di Borgaro Torinese — il tempo è un calendario di attese. E di domande senza risposta. Ha smesso di aspettare il suo rientro a casa. Vuole solo la verità.
Letizia, ipovedente dall’età di tre anni per una lesione al nervo ottico causata da un incidente, quella mattina esce come sempre per andare al lavoro. Poco più tardi chiama la madre: avviserà che rientrerà tardi, deve passare all’ospedale di Rivoli per ritirare gli esiti di un esame. Solo in seguito, riferisce Angela, emergerà il timore della giovane di essere incinta.
Nel pomeriggio, Letizia parla al telefono con tre figure centrali della sua vita: la madre, suor Delia Bradanini — l’ex maestra elementare, quasi una seconda madre — e Daniele, l’ex fidanzato, conosciuto ai tempi della scuola per ciechi, anche lui ipovedente. È una relazione finita da qualche mese, rimasta però nei contatti. Un vicino dirà di aver visto Letizia poco dopo le 18 alla fermata del pullman 60, la navetta che l’avrebbe riportata a casa. È l’ultima testimonianza di Lei viva. Vengono ascoltati due ex fidanzati: le verifiche non portano svolte. Si sa che con uno di loro Letizia aveva parlato proprio quel pomeriggio. Poi il nulla.
Il fascicolo in Procura resta formalmente aperto, ma non arrivano aggiornamenti: nessun nuovo interrogatorio, nessun iscritto nel registro degli indagati, nessuna perizia. Passano gli anni, finché — quattordici anni dopo la scomparsa — una cassetta dimenticata tra le scatole restituisce una voce. È Letizia. “Mi hanno assalita due ragazzi… Io chiedevo aiuto… Perché c’era una ragazza violentata… E quella ragazza ero io”. Parole asciutte, incise chissà quando, che per Angela hanno il peso di una rivelazione.
Letizia Teglia oggi avrebbe 54 anni. Quando è scomparsa nel aveva 24
Angela Vortici in un servizio Rai dello scorso anno, nella casa di Borgaro Torinese dove Letizia non ha più fatto rientro
C’è un dato che pesa quanto l’assenza di piste: il nastro non risulta essere stato sottoposto a perizia, e il fascicolo non registra avanzamenti. Nel tempo si alternano segnalazioni e telefonate, mezze notizie che svaniscono nel silenzio. Per chi indaga, ogni elemento andrebbe cristallizzato: la cronologia delle telefonate di quel 30 agosto, i movimenti sulla linea 60, gli accessi in ospedale per il ritiro degli esami, eventuali testimoni lungo la tratta. Il tempo logora, ma non cancella: un reperto sonoro può ancora essere analizzato; le memorie possono restituire dettagli. Qui sta la differenza tra un caso irrisolto e un caso abbandonato: l’insistenza metodica nel verificare ciò che già c’è.
Viveva con la madre, pochi amici scelti con cura. Una quotidianità misurata, resa più fragile dall’ipovisione ma non per questo priva di progetti. La voce di Letizia sulla cassetta è l’unico frammento che varca il confine della scomparsa per raccontare un prima: un’aggressione subita, il bisogno di essere aiutata, il trauma che lascia tracce nei gesti. È un racconto che chiede riscontro, contesto, verifiche. E rispetto.
Angela Vortici, nel suo appartamento di Borgaro, non ha smesso di scrivere, chiamare, insistere. Per questo molti anni fa ha dato vita all’associazione Penelope, affinché i genitori dei figli scomparsi non restino soli e le loro storie non si perdano. Trent’anni dopo, l’appello resta lo stesso: chi sa, parli. Un dettaglio, un volto, una presenza alla fermata del 60, una confidenza ascoltata: tutto può contare quando la differenza la fa una voce. Quella, oggi, è ancora la voce di Letizia, fissata in un nastro. Ascoltata — forse — troppo tardi. Ma non abbastanza tardi per cercare la verità.
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