Cerca

La Voce degli animali

Il ritorno del gigante: l’avvoltoio monaco torna a volare sulle Alpi piemontesi

Dopo mesi di cure al CRAS di Bernezzo, il rapace più grande d’Europa è stato liberato a Ferrere, in Valle Stura. Una rinascita che emoziona e che segna il ritorno, dopo oltre sessant’anni, di una specie dichiarata estinta in Italia

Il ritorno del gigante: l’avvoltoio monaco torna a volare sulle Alpi piemontesi

Il ritorno del gigante: l’avvoltoio monaco torna a volare sulle Alpi piemontesi

Era quasi mezzogiorno quando il cielo sopra Ferrere, minuscola frazione di Argentera in Valle Stura, si è aperto in un battito d’ali che nessuno dimenticherà. Una sagoma scura, enorme, ha iniziato a disegnare cerchi lenti e maestosi sopra le creste alpine. Era Remigio, l’avvoltoio monaco, il rapace più grande d’Europa, tornato a volare libero dopo mesi di cure e dopo più di sessant’anni di assenza dalle montagne italiane. Un momento sospeso, carico di simboli, che ha fatto scendere lacrime e provocato applausi, perché non era soltanto un animale a riprendersi la libertà, era un pezzo di natura che reclamava il suo posto, era la memoria di un tempo cancellato che tornava a farsi presente.

avvoltoio

a

ava

aa

aa

ava

La sua storia, però, non è cominciata qui. Bisogna tornare indietro di due mesi, ai primi di giugno, quando in Valle Varaita, a Sampeyre, qualcuno lo ha notato in difficoltà. Si muoveva goffo, incapace di sollevarsi davvero da terra, stremato e affamato. Pesava appena 4,4 chili, ben lontano dai 7 o 12 che caratterizzano un adulto in salute. Per giorni i volontari hanno provato ad avvicinarlo, senza successo. Il 31 maggio era sfuggito al recupero, trovando ancora la forza di qualche battito d’ali disperato. Ma il 3 giugno, con l’aiuto dei Carabinieri Forestali, è stato finalmente catturato e trasferito al CRAS di Bernezzo. Lì è iniziata la sua rinascita. “Quando è arrivato era uno scheletro con le ali – ha raccontato Matteo Attolico, presidente del centro –. Non mangiava, non reagiva. Abbiamo temuto di perderlo. Poi, giorno dopo giorno, ha ricominciato ad alimentarsi e a mostrare di nuovo quel carattere fiero che contraddistingue la specie”.

È stato allora che qualcuno, tra i volontari, ha deciso di chiamarlo Remigio. Un nome semplice, quasi affettuoso, che rimandava al suo destino: quello di tornare a usare le remiganti, le grandi penne delle ali che gli permettono di dominare il cielo. E così, mentre recuperava le forze, quel nome lo ha accompagnato fino al giorno della liberazione, diventando un simbolo ancora più forte.

Il suo anello ha raccontato un’altra parte della vicenda: Remigio era nato in Spagna, all’interno di un programma di conservazione seguito dal Ministero dell’Ambiente iberico. Da lì aveva iniziato il suo lungo viaggio verso nord, spinto forse da dinamiche migratorie ancora poco note, forse dalla curiosità che accompagna i giovani individui. Un viaggio che però rischiava di finire in tragedia sulle montagne cuneesi, dove la fame lo aveva reso preda delle sue stesse debolezze. Invece, il lavoro silenzioso e instancabile dei volontari del CRAS lo ha riportato in vita.

Ieri, a Ferrere, Remigio è tornato a volare. Sul prato c’erano il presidente della Provincia di Cuneo Luca Robaldo, il sindaco di Argentera Monica Ciaburro, l’assessore regionale Marco Gallo, oltre a tanti volontari e curiosi saliti fin lassù per assistere a un evento straordinario.

“Abbiamo vissuto un momento storico – ha dichiarato Robaldo –. Vedere tornare un animale dichiarato estinto in Italia è il frutto di un impegno collettivo che unisce istituzioni e cittadini. La tutela della biodiversità passa da qui, dai gesti concreti”.

Per il sindaco Ciaburro, emozionata fino alle lacrime, il volo del rapace ha trasformato per un giorno il suo piccolo paese: “Ferrere oggi è stata la capitale della natura. Noi siamo pochi abitanti, ma abbiamo avuto l’onore di ospitare un evento enorme. Questa liberazione ci ricorda che la montagna non è solo fatica, spopolamento o problemi, ma anche speranza e futuro”.

E quando la gabbia si è aperta, l’assessore Gallo ha sussurrato poche parole: “L’avvoltoio monaco è un simbolo di resilienza”. E davvero in quel battito d’ali c’era tutto: la resilienza di un animale che ha saputo rialzarsi, la resilienza di chi ha creduto che valesse la pena curarlo, la resilienza di un territorio che non vuole arrendersi al declino. Per qualche minuto il silenzio è stato rotto solo dal vento e da quel fruscio imponente delle ali. Poi sono partiti gli applausi, come allo stadio, con abbracci e commozione. Qualcuno ha detto che sembrava di assistere a un miracolo, altri che era come se fosse tornato un pezzo di storia.

L’avvoltoio monaco, in effetti, in Italia non c’è più dagli anni ’60. L’ultima nidificazione documentata risale al 1961, in Sardegna. Poi, il vuoto. In Europa la specie ha vissuto momenti drammatici, ridotta a poche decine di coppie, decimata da avvelenamenti e caccia. È stata la Spagna a guidare il grande progetto di salvataggio, con colonie protette e programmi di reintroduzione che hanno permesso di ricostruire lentamente le popolazioni. In Francia, nel Massiccio Centrale, lo stesso lavoro ha dato frutti importanti. Ma in Italia la situazione è rimasta di totale assenza, salvo qualche individuo di passaggio. Ecco perché il volo di Remigio non è stato soltanto una liberazione: è stato un riscatto, la prova che anche i nostri cieli possono ancora ospitare il gigante delle Alpi.

“Ogni esemplare che torna a volare è una vittoria – ha spiegato ancora Attolico –. Non è soltanto un animale che si salva, ma un tassello che si rimette al suo posto in un ecosistema fragile. Gli avvoltoi sono spazzini naturali, si nutrono delle carcasse che altrimenti resterebbero a marcire nei boschi e nelle vallate, prevenendo la diffusione di malattie. Per questo la loro presenza è così importante”.

Guardando Remigio scomparire verso le creste, nessuno poteva sapere se avrebbe scelto di restare in Piemonte o se avrebbe ripreso il suo cammino verso la Francia o la Spagna. Ma non era importante. Il senso di quel volo non stava nella destinazione, ma nel gesto. Quel corpo scuro che saliva verso l’alto portava con sé la fatica di mesi, la dedizione di decine di volontari, la memoria di una specie cancellata e la speranza di un ritorno.

E così, mentre il sole batteva forte sui tetti di pietra di Ferrere e la gente tornava lentamente alle proprie case, restava nell’aria un senso di vittoria. Per una volta, la cronaca delle montagne non parlava di frane, incendi o spopolamento. Parlava di rinascita. Parlava di un animale che tutti davano per perduto e che invece ha dimostrato che la vita, quando trova una mano tesa, non smette di sorprendere. Insomma, sulle Alpi piemontesi, dopo sessant’anni di assenza, Remigio ha ripreso il suo posto nel cielo.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori