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Costume e società

Cosmo accusa: “Genocidio sotto gli occhi del mondo”. La musica diventa militanza

Il cantante Marco Bianchi pubblica una storia Instagram durissima contro Israele e le complicità dell’Occidente. Parla di apartheid, pulizia etnica, genocidio. Invita a boicottare le aziende coinvolte. Un’esternazione che conferma la natura radicale del suo impegno politico.

Cosmo accusa: “Genocidio sotto gli occhi del mondo”. La musica diventa militanza

Cosmo

Ha usato un linguaggio che in molti non osano nemmeno pensare. Parole nette, senza mediazioni, scritte bianche su sfondo nero. Cosmo, nome d’arte di Marco Bianchi, ha pubblicato una storia su Instagram che non è passata inosservata: un grido di denuncia contro Israele, contro gli Stati Uniti, contro l’Europa, e contro quello che definisce un “orrore fin troppo palese”.

La parola che sceglie è una, inequivocabile: genocidio. Non è la prima volta che Cosmo si espone politicamente. Ma questa volta lo ha fatto in un momento in cui ogni parola sull’argomento pesa come piombo. E lo ha fatto da artista, sì, ma anche da cittadino, da militante, da uomo che – come scrive – “non riesce più a sopportare” il silenzio.

La storia Instagram inizia con una frase che fa saltare il lettore sulla sedia: “1sr4ele va semplicemente esclusa dal consesso umano in questo momento”. Sostituendo le lettere con numeri, Cosmo aggira i filtri automatici dei social, ma il messaggio arriva comunque, forte e chiaro. Nella sua visione, Israele non è solo uno Stato in guerra: è uno Stato fondato su “occupazione, pulizia etnica, apartheid”.

E ciò che sta facendo a Gaza – scrive – ha oltrepassato ogni limite umano. Ma non si ferma qui.

Se la violenza israeliana è il centro del messaggio, il contesto globale è il bersaglio più ampio. Cosmo parla di “pieno supporto americano”, di “mancanza totale di spina dorsale dell’Europa”, di un’ipocrisia diffusa che mescola deliberatamente antisemitismo e antisionismo per disinnescare ogni forma di dissenso.

E poi, il sarcasmo tagliente: “Mi fa schifo l’atteggiamento da bimbi o ultras delle destre che ‘gne gne la Palestina la difendono i sinistri allora io difendo Israele’”, accompagnato da un’emoji con la lingua di fuori, a sottolineare lo squallore del dibattito pubblico. Infine, l’invito: “Leggetevi il report di @francesca.albanese.unsr.opt” – il profilo della relatrice speciale dell’ONU per i Territori Palestinesi Occupati – e “iniziate a boicottare le aziende coinvolte in questo schifo”.

Nato a Ivrea nel 1982, Marco Bianchi non è mai stato un artista come gli altri. Prima con i Drink to Me, poi con il progetto solista Cosmo, ha costruito un universo musicale che fonde elettronica, pop, club culture e attivismo.

I suoi live sono veri e propri riti collettivi: corpi che ballano, coscienze che si svegliano. La politica, per lui, non è un orpello né una strategia comunicativa. È un’urgenza. Ha denunciato la gestione autoritaria della pandemia, ha protestato per la chiusura delle discoteche mentre si lasciavano aperti i centri commerciali, ha scritto contro l’omofobia, contro la repressione poliziesca, contro le violenze sulle donne, contro il razzismo sistemico. Non solo parole: Cosmo ha messo la faccia, ha partecipato a cortei, ha firmato appelli, ha annullato date, ha tenuto comizi dai palchi. Chi lo segue lo sa: i suoi post non sono mai leggeri. Sono editoriali. Sono colpi nello stomaco. Anche a costo di perdere consenso.

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Come prevedibile, la storia pubblicata sul suo profilo Instagram ha diviso. C’è chi lo applaude: finalmente qualcuno che dice le cose come stanno, scrivono in tanti nei commenti. Ma c’è anche chi lo accusa di estremismo, di semplificazione, di usare toni incendiari. Cosmo non risponde alle polemiche. Non si giustifica. Non modera. Come sempre, parla e se ne va. Ma il post resta. E colpisce. Soprattutto in un mondo artistico dove regna la prudenza, dove anche le tragedie vengono spesso raccontate con filtri pastello o con l’algida distanza del “né con gli uni né con gli altri”. Lui no. Cosmo sceglie da che parte stare. E lo fa con parole che bruciano: “Mi fa ancora più schifo che non abbiamo ancora isolato e sanzionato pesantemente lo Stato più violento e scorretto e disumano che esista sulla faccia della Terra”.

Nel finale del post, Cosmo invita a leggere i report di Francesca Albanese, relatrice speciale ONU spesso attaccata da Israele e da parte del mondo politico occidentale per il suo uso del termine apartheid nei confronti dello Stato ebraico. La sua ultima relazione accusa Israele di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e di violare sistematicamente il diritto internazionale. Non è solo informazione, quella che Cosmo chiede. È attivismo.

“Boicottate le aziende coinvolte in questo schifo”, scrive. Un chiaro riferimento alla campagna BDS (Boycott, Divestment, Sanctions), già da tempo bollata come antisemita da alcuni governi ma difesa da molte ONG come strumento legittimo di pressione nonviolenta. Cosmo incita i suoi follower a cercare alternative, a non accettare passivamente lo stato delle cose. Li chiama alla disobbedienza del consumo. Non una presa di posizione sterile, ma un invito all’azione concreta.

La storia di Cosmo non è quella del classico cantautore impegnato. Non scrive canzoni di protesta, non fa comizi con la chitarra in mano. Il suo è un linguaggio ibrido, che usa la potenza della musica elettronica per creare spazi di libertà. Ma proprio per questo, quando prende parola fuori dai bpm, il suo peso raddoppia. Chi si aspetta da lui solo intrattenimento non ha capito nulla del progetto Cosmo. Perché da anni, Marco Bianchi lavora per abbattere le pareti tra corpo e politica, tra piacere e lotta, tra arte e militanza. Le sue parole sono coerenti con la sua musica: radicali, pulsanti, libere. Inassimilabili.

Cosmo ha parlato. E questa volta, non ha chiesto il permesso. Non ha cercato il consenso. Non ha chiesto scusa. Ha chiamato le cose con il loro nome, ha messo il dito nella ferita, ha sparigliato le carte del perbenismo. Ha trasformato una storia Instagram in un atto politico. E che piaccia o no, ha dimostrato che anche una manciata di parole, se dette da chi non si piega, possono fare più rumore di mille canzoni.

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