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Misteriosa moria di 47 bovini in Valle Po: si indaga su intossicazione o sabotaggio

L’allevatore ha denunciato l’accaduto, sul posto veterinari e carabinieri forestali: sotto esame piante e carcasse

Misteriosa moria di 47 bovini

Misteriosa moria di 47 bovini in Valle Po: si indaga su intossicazione o sabotaggio

Una moria improvvisa e inquietante, che ha colpito 47 capi di bestiame tra vacche adulte e vitelli di razza Piemontese, in un alpeggio sopra Oncino, nel cuore della Valle Po, ai piedi del Monviso. Una scena drammatica, fatta di carcasse disseminate nei pascoli e di animali ancora in vita ma con sintomi evidenti di malessere, che ha costretto un allevatore del Saluzzese ad attivare immediatamente le autorità.

La mandria, regolarmente condotta in alpeggio da alcune settimane, ha iniziato a presentare segnali allarmanti a partire da venerdì 11 luglio. I primi capi si sono accasciati a terra senza preavviso, seguiti da altri nelle ore successive. Il bilancio, aggiornato a ieri pomeriggio, è di 47 bovini morti, ma il numero potrebbe salire. Alcuni animali superstiti mostrano sintomi compatibili con una patologia acuta in corso.

L’allevatore, scosso dall’accaduto, ha denunciato il fatto ai carabinieri forestali, allertando contestualmente i servizi veterinari dell’Asl e gli esperti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, incaricati di effettuare prelievi e analisi approfondite. Al momento le cause della strage animale non sono chiare, ma gli scenari ipotizzati sono due: un’intossicazione alimentare dovuta a sostanze presenti nel pascolo o, in alternativa, un’azione dolosa.

Nel primo caso si pensa a una possibile ingestione di piante tossiche cresciute spontaneamente a causa delle particolari condizioni climatiche di questa estate, molto piovosa nella prima parte e improvvisamente torrida a luglio. Alcune specie vegetali, come la veratro o la felce aquilina, se consumate in grandi quantità, possono essere letali per i bovini. Tuttavia, le mandrie locali sono abituate ai pascoli di alta quota e un avvelenamento spontaneo di queste proporzioni sarebbe un evento raro.

L’altra ipotesi, decisamente più inquietante, è quella di un sabotaggio, magari attraverso l’immissione di sostanze tossiche nei punti di abbeverata. Gli inquirenti non escludono nulla, nemmeno la pista di un gesto volontario legato a rivalità locali, ritorsioni o tensioni legate alla gestione dei pascoli. In passato, episodi simili – sebbene più circoscritti – hanno riguardato casi di conflitto tra allevatori, escursionisti o ambientalisti radicali contrari alla presenza di grandi mandrie in quota.

Le operazioni di recupero delle carcasse, disposte in emergenza dai servizi veterinari, sono ancora in corso e si svolgono in condizioni difficili, vista la morfologia impervia della zona. Gli animali morti devono essere trasportati a valle e smaltiti secondo i protocolli sanitari previsti per evitare inquinamento ambientale e rischi epidemiologici.

Gli esami di laboratorio in corso sull’acqua, sulle piante e sugli organi prelevati dagli animali potranno fornire risposte definitive solo nei prossimi giorni, ma intanto l’intera comunità degli allevatori della Valle Po guarda con preoccupazione quanto accaduto.

Questo episodio si inserisce in un contesto già reso fragile da anni di difficoltà strutturali per la zootecnia montana, stretta tra i costi di gestione sempre più alti, la carenza di personale, la burocrazia e i cambiamenti climatici. Gli alpeggi, un tempo risorsa primaria per le economie alpine, oggi sono sempre più esposti a pressioni esterne, con una filiera agricola che fatica a garantire la sicurezza e la stabilità del comparto.

Per questo motivo, il caso di Oncino potrebbe rappresentare un punto di svolta, non solo per i singoli responsabili, ma anche per le istituzioni. Diversi sindaci dell’alta valle stanno infatti chiedendo che venga attivato un protocollo di emergenza per tutelare gli altri alpeggi ancora operativi, con monitoraggi frequenti, mappatura delle piante tossiche e un’indagine ambientale sistematica.

Le vacche morte appartenevano a una razza autoctona, la Piemontese, allevata con criteri tradizionali e considerata un’eccellenza per la qualità delle carni. La perdita economica è enorme, stimata in decine di migliaia di euro, ma il danno più grande rischia di essere quello alla fiducia collettiva: se l’alpeggio non è più un luogo sicuro per gli animali, il futuro della pastorizia alpina diventa ancora più incerto.

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