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Il Ddl sulla caccia è un attacco a natura e cittadini: 46 sigle chiedono lo stop al provvedimento Lollobrigida

Le associazioni ambientaliste denunciano: stagione venatoria prolungata, rischio per le persone e violazioni della Costituzione

 Il Ddl sulla caccia è un attacco a natura e cittadini: 46 sigle chiedono lo stop al provvedimento Lollobrigida

Il Ddl sulla caccia è un attacco a natura e cittadini: 46 sigle chiedono lo stop al provvedimento Lollobrigida. Foto di repertorio

Un assalto alla natura, un attacco alla sicurezza e un’offesa alla democrazia. È questo il giudizio netto che 46 sigle ambientaliste, animaliste, scientifiche e del comparto sostenibile hanno rivolto al disegno di legge sulla caccia presentato al Senato dai partiti di maggioranza. Le critiche non si limitano al merito delle misure proposte, ma investono anche la legittimità del processo politico che ha portato a questo testo, definito “improponibile” e frutto di un’arretratezza culturale preoccupante.

Al centro delle polemiche ci sono l’allungamento della stagione venatoria anche nei periodi di piena migrazione, la possibilità di cacciare nelle aree demaniali escluse solo le spiagge, il ritorno alla cattura degli uccelli per richiami vivi e l’aggiramento dei pareri scientifici dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Secondo le associazioni, il testo riprende quasi interamente la bozza già pubblicata nei mesi scorsi e mai condivisa con la società civile. Le modifiche apportate sono giudicate irrilevanti, come dimostra il fatto che, senza la mobilitazione delle sigle, si sarebbe giunti perfino a permettere l’uso dei fucili sulle spiagge.

Per i firmatari del comunicato congiunto, il disegno di legge rappresenta un passo indietro clamoroso. Viene infatti rovesciato il principio della prevalenza della tutela ambientale, garantita dalla Costituzione e dalla normativa europea, per sostituirlo con un’interpretazione distorta della caccia come strumento di salvaguardia. A questo si aggiunge l’introduzione di una sorta di sanatoria per chi traffica in richiami vivi, e la trasformazione delle aree protette da valore da difendere a problema da contenere.

Immagine di repertorio

Il Ministro Lollobrigida, che inizialmente aveva rivendicato la paternità del provvedimento, viene ora accusato di essersi nascosto dietro un’imbarazzante ritirata politica. Le associazioni raccontano di aver richiesto formalmente un confronto, rimasto però lettera morta. Di fronte alle critiche argomentate, la reazione sarebbe stata solo quella del silenzio istituzionale e della chiusura totale al dialogo.

Il messaggio che arriva è chiaro: il mondo venatorio, pur rappresentando una minoranza del Paese, riesce ancora a influenzare pesantemente l’agenda politica, anche a costo di ignorare la volontà della maggioranza degli italiani. Una maggioranza che chiede più sicurezza, più rispetto per la natura, più benessere animale. E invece si ritrova a dover temere di incontrare cacciatori armati nelle campagne, nei boschi, persino nei pressi delle proprie abitazioni.

Secondo i promotori del comunicato, questo disegno di legge consegna un Paese vulnerabile a interessi privati, dove i cittadini rischiano di perdere il diritto di vivere la natura in libertà e tranquillità. L’Italia rischia di trasformarsi in un luna park per turisti armati, dove massacrare fauna selvatica diventa un passatempo impunito.

Per questo le 46 sigle chiedono di essere ascoltate da tutti i gruppi parlamentari, comprese le forze di maggioranza. Chiedono che non si dimentichi che gli italiani non vogliono più fucili nelle campagne, ma più tutela, più rigore scientifico, più lungimiranza. Perché la caccia indiscriminata non è solo un problema ambientale, ma una ferita alla convivenza civile e al senso stesso della legalità.

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