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“Mi sono sentita persa”: lo sfogo di Anna Norfo e la lotta contro le barriere invisibili

Parcheggi cancellati, gradini insormontabili e l’indifferenza delle istituzioni: la denuncia di una disabile riaccende il dibattito sull’accessibilità

barriere architettoniche

barriere architettoniche

Lo sfogo di Anna Norfo colpisce come un pugno allo stomaco. “Perdonate lo sfogo”, scrive su Facebook, ma ogni parola è un grido trattenuto troppo a lungo. Doveva recarsi dai vigili urbani per rinnovare il cartellino dei disabili, ma non ha trovato più il parcheggio riservato. Al suo posto, tavolini e piante. “Il posteggio è stato spostato all’altra punta della piazza”, scrive.

Chi conosce il peso di ogni passo quando il corpo non collabora sa che quella “punta” diventa un ostacolo insormontabile.

E poi c’è quel Municipio, simbolo delle Istituzioni, che non si cura dei suoi cittadini più fragili.

“Non fanno nemmeno uno scivolo. Ci sono dei gradini che non permettono ai disabili di accedere”.

Un diritto negato, un’umiliazione silenziosa. Alla fine, le sue parole si chiudono con una fragilità che ferisce: “Oggi mi sono sentita persa. Buone feste”.

Benvenuti a Ivrea, città governata dal centrosinistra, dal neofita Matteo Chiantore del Pd ma anche dal veterano Francesco Comotto, oggi assessore ai lavori pubblici e che per anni s'è battuto tra i banchi dell'Opposizione per una città senza barriere...

La rete non è rimasta indifferente. Il post ha raccolto centinaia di reazioni e una valanga di commenti, perché la realtà raccontata da Anna è quella di molti. C’è chi ricorda che “una volta il parcheggio era accanto al bar” e chi, con amarezza, sottolinea che “un dehor rende più di un disabile”. La logica del profitto calpesta la dignità.

parcheggio disabili

I marciapiedi? Distrutti. Le promesse di abbattere le barriere architettoniche?

Solo parole. “Noi disabili dobbiamo volare”, scrive qualcuno con l’amarezza di chi si è sentito invisibile troppo a lungo.

Un’altra utente accusa: “Hanno fatto le piste ciclabili in quattro e quattr’otto perché interessavano a qualcuno, ma per noi nulla”. Le priorità sono chiare, e i disabili, come scrive un altro commentatore, restano “un peso per tutti”.

E l’ascensore?

Rotto, come l’umanità di chi dovrebbe garantire l’accessibilità. “Gli ascensori dell’ospedale sono fuori uso, anche quelli del Comune non funzionano. Non ci resta che restare a casa”. Ma non è un problema solo dei disabili. Altri commentano con rabbia: “Basta provare a percorrere quei marciapiedi con un passeggino per capire il disastro”. La differenza? Il passeggino, un giorno, non servirà più.

C’è chi prova a suggerire soluzioni, come l’uso di applicazioni o campanelli d’emergenza per accedere agli uffici. Ma la verità è che la burocrazia, come quei gradini, resta un muro che divide. “Non dovremmo elemosinare i nostri diritti”, scrive qualcuno, “dovrebbero vergognarsi e chiedere scusa a noi”.

E mentre scorrono i commenti, c’è un filo rosso che lega tutte le voci: un senso di abbandono, di ingiustizia.

“La sensibilità non è per tutti”, scrive amaramente una signora.

Lo sfogo di Anna Norfo non è solo una storia personale, ma uno specchio di un Paese dove l’accessibilità è ancora un lusso, dove i più deboli devono lottare per diritti basilari.

Un parcheggio cancellato, uno scivolo mai costruito: piccole scelte che pesano come macigni.

E, alla fine, una domanda: davvero un tavolino vale più di una vita?

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