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L’incertezza preoccupa e destabilizza.

Questa è la condizione in cui si è trovata la comunità scientifica quando si è vista inerme,  dapprima, di fronte all’imperversare di un virus pressochè sconosciuto nella sua causa e nei suoi effetti e, dopo,  davanti al verificarsi di alcuni casi infausti in concomitanza con l’inoculazione di dosi di un vaccino i cui tempi di realizzazione, se da una parte  testimoniano  l’elevato progresso della scienza, dall’altro hanno inevitabilmente ingenerato, e tuttora ingenerano, disorientamento in ragione della sua novità. L’esiziale rischio del verificarsi di quel fenomeno chiamato “medicina difensiva negativa” che si sarebbe concretizzato, nel caso di specie, nella ritrosia in capo ad una parte di operatori sanitari nel portare avanti la necessitata attività di vaccinazione per il timore dell’insorgenza di contenziosi in Tribunale, ha spinto il Governo ad intervenire tempestivamente attraverso un provvedimento provvisorio avente forza di legge, ossia il decreto legge del 1 aprile 2021 n. 44, convertito successivamente con alcune modifiche nella legge 28 maggio 2021 n. 76,  che ha introdotto  all’art. 3  il cosi detto “scudo vaccinale”  Il termine richiama , infatti, quello che è lo scopo stesso dell’intervento legislativo, ossia assicurare al sanitario una  protezione giuridica, in caso di eventuali reazioni avverse concomitanti all’inoculazione, da una condanna  prevedendo quale causa di non punibilità  la  semplice  conformazione dell’impiego del vaccino alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione.  Dalla lettura della norma, dunque, si evince come l’accertamento in sede giudiziale della precisa ottemperanza del vaccinatore ai dettami dell’AIFA e delle circolari emanate dal Ministero  comporti l’esclusione di una ascrizione di responsabilità penale a suo carico  in caso di eventuali esiti infausti insorti nel paziente vaccinato, escludendo, così, a monte  una indagine processuale sulla effettiva sussistenza o meno di una correlazione. Ma era indispensabile l’introduzione di una specifica norma o gli strumenti previgenti offerti dal nostro ordinamento sarebbero stati comunque idonei a conseguire il medesimo risultato? Per esempio, già nel 2017 con la legge 8 marzo n.24 è entrato a far parte del compendio normativo del nostro codice penale l’articolo 590 sexies in base al quale il sanitario  non è punibile  laddove abbia seguito le linee guida applicabili allo svolgimento dell’attività. Pertanto, il vaccinatore, già in questo disposto troverebbe la sua difesa in presenza di una sua condotta colposa ma posta in essere con scrupolosa ottemperanza ai dettami. Inoltre, il giudice penale, prima di addivenire ad un pronunciamento di condanna, deve accertare, tra le altre cose, che l’evento dannoso verificatosi nella realtà  sia ricollegabile alla condotta dell’imputato ( per quanto qui interessa, il vaccinatore) attraverso un ragionamento ipotetico e astratto  in base al quale in assenza del comportamento incriminato ( per quanto qui interessa, la somministrazione della dose di vaccino) l’evento dannoso non si sarebbe verificato al di là di ogni ragionevole dubbio. E se si considera, inoltre, che la valutazione su tale grado di prova deve essere inevitabilmente operata dall’autorità giudiziaria  utilizzando quelle che sono le leggi scientifiche del momento, emerge con chiarezza come già solo attraverso questa prima considerazione il sanitario, nella maggior parte dei casi, andrebbe comunque esente da responsabilità in ragione della assenza di molte evidenze scientifiche in ordine ad un rapporto di causa tra gli specifici accadimenti infausti verificatisi e l’inoculazione delle dosi. Non solo. Il nostro ordinamento penale prevede che comportamenti che altrimenti costituirebbero illeciti, in presenza di determinate circostanze, non possano considerarsi tali.  Una di queste ipotesi è rappresentata, ad esempio, dall’adempimento di un dovere imposto da un norma giuridica che, nel caso in ispecie, è da rinvenirsi in precise  disposizioni aventi forza di legge. Nel trarre le conclusioni , è ragionevole  affermare che  la norma sullo “scudo vaccinale”, lungi dal rappresentare uno strumento di garanzia di “nuovo conio” per i sanitari,  va a costituire un ulteriore strato normativo, frettolosamente aggiunto, alla esistente pletora di disposizioni senza che ve ne fosse la effettiva e concreta necessità giuridica. Certo è che tali obiezioni sono superate dalla esigenza di addivenire in tempi brevi alla sconfitta del virus scongiurandone gli ostacoli determinati dalla paura delle aule di giustizia,  che andrebbero, così,  a sommarsi a quelli legati alle ritrosie ideologiche.

Stefano BONAUDO, avvocato in Settimo Torinese

 
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