MARIO DRAGHI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Difficile rimanere indifferenti alle sette ministre che, per la prima volta, hanno tenuto una conferenza stampa sul disegno di legge per un pacchetto di azioni di contrasto alla violenza contro le donne. Un bel colpo d’occhio, ma… Seduto in prima fila, la presenza incoraggiante del presidente del consiglio, a cui la quasi totalità delle ministre ha rivolto (peccato!) parole di gratitudine. Lui le ha covate tutto il tempo, incoraggiate con lo sguardo. Invitato tra loro per la foto di rito, a conclusione dell’incontro, il Draghi si è (regalmente) schermito. La cerimoniera della conferenza stampa è stata la ministra Bonetti, già nel governo Conte, renziana della prima ora, familista ma non solo. Alla sua sinistra sullo schermo, la ministra dell’Interno, invisa a Matteo Salvini, che – per prima - ha illustrato, in modo asciutto, il provvedimento. Alla destra quella alla Giustizia, la guardasigilli Marta Cartabia, grande capacità di enucleare gli elementi sostanziali del disegno di legge, un piacere ascoltarla. Di seguito le altre. Le ministre Carfagna e Gelmini, lontanissime ormai dall’immagine di ragazze del team del Berlusca: certo ne hanno fatta di gavetta, e i risultati si vedono. Più incerte quelle alle ali estreme, la Stefani (Lega) e la Dadone (5stelle), mentre indiscutibile è la sicurezza della ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, collegata in videoconferenza. A vederle tutte insieme si capisce che sono davvero tramontati i tempi delle ministre del governo di Matteo Renzi, due per tutte: tacco12Boschi e paterleMadia. Quello di Draghi sarà ricordato anche per essere un governo con la presenza di poche donne, giusto il minimo sindacale (otto su ventitré), e nel quale nessuna è espressa dal Pd. Al varo del governo, le pidine avevano sollevato un vespaio, accusando il loro partito di esser preda di «una logica maschilista e correntizia» (Livia Turco). «Dura lezione» aveva tuonato Debora Serracchiani e, rincarando la dose, aveva aggiunto che «nessuno spazio ci (a noi donne pidine) sarà dato per gentile concessione». «Quando si tratta di ruoli di potere vero – aveva aggiunto - non funzionano le quote di genere come riserva indiana», prendendosela anche con l’unico vero espediente di riequilibrio che, in politica, abbia dato un qualche risultato. L’occasione di farsi valere nel merito Serracchiani e le altre l’avranno con la discussione in aula. Il disegno di legge del governo prevede un appesantimento delle misure cautelari e coercitive, l’aumento delle pene «se il fatto è commesso nell’ambito di violenza domestica da soggetto già ammonito», fattispecie quest’ultima per la quale si procederà d’ufficio e non più su querela della donna. La cosa più convincente della proposta governativa riguarda l’anticipo di un terzo della provvisionale (una somma di denaro liquidata dal giudice in favore della parte danneggiata dal reato), il finanziamento strutturale dei centri antiviolenza, sostenuti con 30 milioni di euro l’anno e i 10 milioni di euro per il «reddito di libertà» (il sostegno economico per un anno) e il «micro-credito di libertà», la possibilità di accedere al credito con garanzia totale dello Stato.
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