"Le fiamme avrebbero dovuto finire il loro lavoro. Fai veramente schifo". Fra tutti gli insulti che gli sono piovuti addosso negli ultimi giorni attraverso i social network, il deputato Antonio Boccuzzi (Pd) ha scelto di mettere in evidenza questo: il riferimento alle "fiamme", per lui, è più doloroso degli altri, perché sono le fiamme divampate il 6 dicembre 2007 nello stabilimento di Torino della Thyssenkrupp. Boccuzzi, che lavorava nell'acciaieria come operaio, si salvò per miracolo: sette dei suoi colleghi, invece, persero la vita. "Lunedì - annuncia - presenterò una querela". Tanto livore contro Boccuzzi si è innestato sul caso Ilva: un deputato del M5S, Cosimo Petraroli, il 23 luglio ha pubblicato un post su Facebook (che ha collezionato 2.300 condivisioni) affermando che l'ex operaio "ha votato sì alla fiducia per il decreto Salva Ilva". "Ma quello - ha precisato Boccuzzi ovunque ha potuto - non è il voto sulla fabbrica di Taranto. Io quel provvedimento non l'ho votato. Anzi, ho cercato di migliorarlo con un emendamento che però è stato bocciato". Inutile. Le minacce e le allusioni alla strage Thyssenkrupp si sono moltiplicate in modo esponenziale, anche se Petraroli, da questi attacchi personali, si è dissociato immediatamente. Il post sulle "fiamme", firmato da una signora torinese, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La donna, comunque, smentisce di avere vergato quelle parole: "Qualcuno entra a mio nome e fa danni grossi". Il caso vuole che proprio oggi siano venute alla luce le motivazioni della sentenza con cui la Corte d'assise d'appello, lo scorso 29 maggio, ha ricalcolato le condanne per i sei imputati del processo Thyssenkrupp: la pena più alta (9 anni e 8 mesi) è per l'ex amministratore delegato, il tedesco Harald Espenhahn. La Cassazione, dopo aver confermato la colpevolezza di tutti, aveva restituito le carte a Torino: bisognava procedere a un riconteggio per via di una complessa problematica, da specialisti del diritto, legata alla relazione fra i diversi reati contestati. I giudici subalpini hanno stabilito che per la "omissione volontaria di cautele" si deve usare "maggiore severità" con chi sedeva al vertice dell'azienda, mentre per "l'incendio colposo" bisogna usare la mano pesante con i dirigenti che stavano in fabbrica e avevano l'obbligo di informare i superiori (a Terni) sulle "reali condizioni di lavoro e sicurezza". Cosimo Cafueri (6 anni e 8 mesi) e Raffaele Salerno (7 anni e 2 mesi) non meritano nemmeno le "attenuanti generiche". Il primo, quando i lavoratori gli parlavano del rischio di incendio, li invitava a "portare pazienza" e non prendeva iniziative "davvero risolutive". Il secondo "vedeva la realtà con i propri occhi" ma "si astenne dal richiedere gli interventi indispensabili". L'unica attenuante possibile, dunque, è quella del risarcimento del danno. nelle motivazioni i giudici hanno inoltre criticato aspramente i tentativi di condizionare i testimoni del processo.
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