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28 Luglio 2025 - 15:36
Una fresa, 13 chilometri di roccia, 950 imprese coinvolte e 700 milioni di euro spesi per aprire un varco tra due mondi. Da domani, martedì 29 luglio alle ore 20, la seconda canna del traforo autostradale del Fréjus sarà finalmente percorribile: la montagna è stata scavata, il confine simbolico è stato spezzato. Italia e Francia, Bardonecchia e Modane, da oggi sono più vicine. Non è solo un tunnel: è un manifesto politico scavato nella pietra.
Nel giorno in cui la Valsusa torna al centro delle cronache, non per gli scontri ma per i cantieri, non per i lacrimogeni ma per le inaugurazioni, il governo italiano e quello francese hanno srotolato il nastro rosso davanti alla nuova galleria del Fréjus. Una cerimonia blindata, celebrativa, muscolare, con Matteo Salvini in prima fila insieme al collega d’oltralpe Philippe Tabarot, al presidente della Regione Alberto Cirio, ai vertici di Sitaf e a decine di autorità transalpine.
Ma più che di ingegneria, si è parlato di politica. E di ideologia. A partire da Roberto Ravello, vicecapogruppo regionale di Fratelli d’Italia, che ha affidato alla stampa parole affilate come la roccia appena scavata: “Questa è la miglior risposta a chi, solo poche ore fa, ha messo a ferro e fuoco il territorio che dice di voler difendere. La Valsusa che si libera di chi la tiene in ostaggio. Il declino è una scelta, non un destino ineluttabile. Da oggi l’Italia è più vicina all’Europa e più competitiva”.
A fare eco è stata Paola Ambrogio, senatrice dello stesso partito, che ha trasformato l’opera in un simbolo di riscatto: “Il raddoppio del Fréjus è molto più di una galleria. È un atto di fiducia nel futuro, una scelta strategica per trasformare la montagna in risorsa. Oggi dimostriamo che si può prendersi cura del territorio con il lavoro, non con le barricate”.
Ma il passaggio più duro è arrivato da Cirio, presidente del Piemonte, che ha tracciato il confine netto tra dissenso e delinquenza: “Manifestare è legittimo se si rispettano le regole democratiche. Ma chi tira bombe carta contro gli operai non difende la montagna: la sporca. Non sarà uno sparuto manipolo di delinquenti a fermare il futuro della Valsusa”.
Dal palco, il ministro francese Tabarot ha ribadito che “nessuno fermerà questi cantieri”. Nessuno, nemmeno le tensioni, i sabotaggi, le polemiche. Perché quando in ballo ci sono 700 milioni di euro, e un’arteria strategica per il traffico europeo, l’opposizione — se c’è — si scansa, o viene scavalcata.
Poi c’è Salvini, che da buon regista dell’evento, ha incassato l’applauso e rilanciato sul Ponte sullo Stretto, che sembra ormai la sua personale crociata ingegneristica: “Domani c’è il Cda della società Stretto di Messina. Puntiamo all’approvazione del progetto definitivo entro la settimana prossima: 13,5 miliardi tutti italiani, precantierizzazione a settembre. Anche i No Ponte, come i No Tav e i No Mose, se ne faranno una ragione”.
E ancora: “Tunnel, ponti, gallerie non sono solo cemento. Sono segni morali. In un’epoca di conflitti, unire e ridurre le distanze è un atto politico, con la P maiuscola. Le infrastrutture sono messaggi di pace”.
Sullo sfondo, la montagna. Più lunga che mai. Con la nuova galleria, il Fréjus diventa il più lungo tunnel stradale d’Europa. Un primato tecnico, certo. Ma anche un traguardo simbolico, mentre il Traforo del Monte Bianco si prepara a chiudere per manutenzione da settembre per 15 settimane.
Intanto, domani sera alle 20, i primi camion varcheranno la seconda canna. E la Valsusa – almeno per oggi – avrà lasciato la retorica degli scontri per entrare nella geografia dei collegamenti. Anche se le frasi di circostanza e i proclami muscolari non riusciranno a cancellare le tensioni di un territorio che da trent’anni lotta, resiste, protesta.
La montagna si apre. Ma la frattura resta.
LA VOCE DEL CANAVESE
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