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Il "Berlinguer" sta morendo.... Lo dice anche Legambiente

Il sopralluogo dei volontari: impianto ravvicinato e irrazionale, tutori deboli, assenza totale di irrigazione. Il parco rischia di trasformarsi in un disastro annunciato

Un parco giovane, ma già in agonia. Dove si prometteva una rinascita verde per la città, oggi spuntano alberi piegati, piantine secche e tutori crollati. È questo il desolante panorama che si sono trovati davanti i volontari di Legambiente   durante il sopralluogo effettuato il 24 maggio 2025 nel secondo lotto del Parco Berlinguer a Settimo Torinese, un’area di nuova piantumazione, inaugurata lo scorso anno in piena camapagna elettorale dalla sindaca Elena Piastra, situata tra via San Mauro, il parco urbano, il supermercato Conad, le torri di via Cascina Bordina e il nuovo palazzetto dello sport.

L’area è stata oggetto di una imponente piantumazione, con numeri che, sulla carta, impressionano: 1.026 alberi alti tra i 2 e i 3 metri, 560 piantine tra 1 e 1,5 metri e 158 arbusti.

E poi? E poi è bastato scavare tra le zolle per capire che qualcosa non va: 84 piante sono già morte, 36 sono in condizioni critiche, molte delle restanti mostrano segni evidenti di sofferenza.

“Il dato più allarmante è che oltre cento esemplari sono già compromessi, e non siamo nemmeno entrati nell’estate”, spiegano i volontari. Le cause? Numerose, gravi e – per Legambiente – evitabili. A cominciare da un impianto disordinato e irrazionale.

Nel primo lotto del parco, dove è presente un piccolo laghetto, le piante sono state distribuite in modo armonico, ben distanziate, per creare micro radure tipiche dei parchi suburbani. Ma nel secondo lotto, il criterio è stato stravolto: gli alberi sono collocati in file molto fitte, da nord a sud, con un “sesto di impianto” talmente ravvicinato da risultare incomprensibile.

“Sono state piantate fianco a fianco specie arboree che diventeranno alte e larghe anche dieci metri. Come potranno svilupparsi se già ora si toccano tra loro?”, si chiedono i volontari. In mezzo agli alberi, sono state inserite piante arbustive di varia natura: spirea japonica, corniolo, biancospino, rosa selvatica. Una convivenza stretta, caotica, dove nessuna delle specie sembra destinata a crescere davvero.

Ma il problema maggiore è un altro: l’assenza totale di irrigazione. Nonostante l’area sia attraversata da condotte irrigue a cielo aperto – canali che da sempre portano acqua ai terreni agricoli – nessuno ha previsto un impianto, né a goccia né a scorrimento, per garantire l’innaffiamento delle giovani piante. E così, in piena primavera, gli alberelli già iniziano a seccare.

“È un controsenso clamoroso”, denuncia Legambiente. “Si piantano alberi in un’area potenzialmente fertile, attraversata da acqua, ma li si lascia morire di sete. Sembra uno scherzo, ma purtroppo è realtà”.

E non è tutto. Durante il sopralluogo, i volontari hanno anche segnalato la fragilità dei tutori, i sostegni in legno che dovrebbero aiutare gli alberelli a resistere al vento e ai temporali. In numerosi casi si sono rivelati instabili o insufficienti, tanto che molte piante si sono piegate durante i violenti fenomeni atmosferici che si sono abbattuti sulla zona negli ultimi mesi.

Un’occasione persa, dunque, almeno per ora. E dire che le essenze forestali selezionate sono tra le più adatte: pioppi bianchi, frassini, bagolari, aceri minori e platanoidi, tigli nostrani, noccioli, ciliegi da fiore. Specie locali, resistenti, che avrebbero potuto trasformare l’area in un polmone verde per una città che da anni fa i conti con l’urbanizzazione spinta e la perdita di suolo.

Legambiente promette un nuovo sopralluogo in autunno, ma lancia già ora un appello chiaro al Comune: “Se non verranno garantite da subito cure colturali costanti, e se non si installerà almeno un impianto di irrigazione minimo, assisteremo a una moria progressiva di piante. E con esse morirà anche la credibilità di chi parla di sostenibilità solo nei comunicati stampa”.

Quello che Legambiente non sa...

Non chiamatelo degrado. Chiamatelo fallanza. Che fa molto più chic. E soprattutto, non è colpa di nessuno.

Gli alberi si piegano? È la fallanza. I tutori si rompono? Fallanza meccanica. Le foglie cadono? Fallanza stagionale. L’erba cresce fino alle ginocchia? Fallanza del decespugliatore. L’irrigazione non c’è? Fallanza idraulica. E poi, ovviamente, c’è la fallanza politica, quella che regge tutto.

Siamo a Settimo Torinese, nel famigerato Parco Berlinguer, fiore all’occhiello – ormai appassito – della transizione ecologica in salsa PNRR. E' qui che si è speso un milione e mezzo di euro, sì, avete letto bene, 1,5 milioni di fondi pubblici, per realizzare un’area verde che oggi sembra uscita da un esperimento fallito di botanica sperimentale e autodifesa spirituale.

L’assessore Alessandro Raso, l’uomo che non “rasa” ma filosofeggia, qualche settimana fa ha trovato la soluzione a ogni problema: la colpa è della natura. E se proprio insistete, vi spiega che “nelle scienze agronomiche le fallanze sono previste”. Una frase che ha lo stesso effetto di un cameriere che vi serve un piatto bruciato e vi dice: “Tranquilli, è previsto nel menù”.

Intanto, Legambiente va sul posto, conta gli alberi uno per uno, e scopre che più di cento sono già morti o in fin di vita. Ma niente panico. Raso c’è. E ci racconta che “i tronchi sono esili, le foglie troppo grandi, si riempiono d’acqua, e poi si piegano”. Che poi, detto tra noi, è più o meno quello che succede anche alla dignità amministrativa: troppo fragile, troppo pesante, troppo piegata.

E la sindaca Elena Piastra? Sorride, registra, posta. Sostiene che chi parla non ha visto e chi ha visto non ha capito. Parla d'altro. Di “rigenerazione urbana”, “qualità della vita”, “CO₂” e “bambini felici che corrono tra i gelsi”. Peccato che nel frattempo gli alberi siano morti stecchiti e il laghetto esista solo nei rendering.

Guai a lamentarsi. E se vi venisse in mente di farlo, sappiate che allora il problema siete voi. Non avete capito la “visione”. Perché a Settimo Torinese non si amministra: si profetizza. Qui si sta costruendo la città del futuro. Solo che, nel frattempo, è morto anche il passato. Berlinguer compreso. Che con tutto il rispetto, meriterebbe un parco decente o almeno qualcuno che si prendesse la briga di togliere il suo nome da questo disastro.

Fermi tutti. C’è il piano B. O meglio, il piano R. R come Raso. L’assessore ha promesso che le piante saranno sostituite se necessario. Magari con una bella cerimonia. E un altro post con i cuoricini.

Nel frattempo, la città scopre che la fallanza è contagiosa. Si espande come l’edera. Raggiunge ogni settore. Si insinua nei bilanci, nei progetti, nelle giustificazioni. 

E chissà: magari tra qualche anno ci diranno che anche il degrado era programmato. Un esperimento sociale. Una performance artistica. Un omaggio al caos primordiale.

Insomma: il parco muore, ma la narrativa è viva più che mai. E costa solo un milione e mezzo. Quisquiglie...

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