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19 Dicembre 2022 - 14:42
IN FOTO Natale del 1941, un’immagine blasfema dal fronte greco-albanese, gli auguri sulle bombe che saranno sganciate dagli Sparvieri ( itrimotore Savoia-Marchetti S. M. 79)
Ciò che sino all’anno scorso sembrava una fantasticheria fuori del tempo e della storia è un’atroce realtà. Bisogna immergersi nelle cronache del 1998, all’epoca dei cosiddetti conflitti jugoslavi, per incappare in un altro Natale insanguinato dalla guerra alle porte dell’Europa unita.
IN FOTO Natale di guerra, i soldati italiani all’attacco contro i sovietici
Il che rievoca inevitabilmente altre feste funestate dalla violenza.
Come furono tristi le ricorrenze natalizie durante l’ultimo conflitto mondiale, quando i giovani sotto le armi erano disseminati un po’ dappertutto, sulle città italiane incombeva la minaccia dei bombardamenti aerei e le famiglie a reddito fisso dovevano misurarsi con gravose restrizioni alimentari! Quanti ricordi sono indelebilmente incisi nella memoria delle persone dai capelli bianchi! Quanti frammenti di vita, di speranze deluse e di sacrifici emergono dalla polvere degli archivi pubblici e privati!
I più anziani ancora rammentano le feste del 1940, il primo Natale di guerra. Emblematico è il caso di Settimo Torinese che allora ospitava soldati del Genio e militi della Dicat, la Difesa contraerea territoriale, i quali si erano stabiliti in paese dapprima provvisoriamente, poi a tempo indefinito. Tre compagnie di telegrafisti del Genio costituivano il locale presidio: la sesta e l’undicesima compagnia si trovavano acquartierate nei locali del Mulino Nuovo, la terza nell’ex stabilimento Giacobino & Rosso (a sud della linea ferroviaria Torino-Milano, fra le vie Galileo Galilei e Francesco Crispi).
In vista delle feste natalizie, il Comune, le aziende e le famiglie benestanti pensarono di offrirono un «rancio speciale» ai soldati. Il centurione Renato Arola, che comandava la Batteria allievi specializzati della Milizia contraerea, fu prodigo di ringraziamenti «per la cameratesca offerta e per l’atto squisitamente fascista». «Il tuo significativo rito, quale schietta interpretazione del valore del nostro magnifico Duce, nel segno del Littorio – riferì al podestà Aldo Barberis, con accenti ispirati – ha vieppiù dimostrato quanto il fronte interno segua l’opera diuturna degli italiani in armi, e questo è di maggior sprone per una certa ed assoluta vittoria della nostra Italia fascista».
Un senso di generale smarrimento pervase le feste del 1942, dopo che i rovesci militari dell’Asse avevano incrinato il mito dell’invincibilità tedesca e dissolto ogni residua speranza nella vittoria promessa da Benito Mussolini. Sul Don iniziava la controffensiva sovietica; dal Nordafrica era giunta notizia di gravissime sconfitte (battaglia di El Alamein, ritirata dall’Egitto e dalla Cirenaica, ottobre-novembre 1942).
La notte dell’8 dicembre, l’aviazione inglese aveva portato a compimento un violentissimo attacco aereo su Torino, colpendo industrie, zone residenziali e quartieri popolari (212 morti). Le stesse scene di terrore e di disperazione si erano ripetute il 9 dicembre (73 morti). «Abbiamo quasi tutti qualcuno dei nostri lontano», scrisse il parroco di Settimo, don Giuseppe Dell’Omo, nel suo messaggio natalizio. «Con questi vuoti in casa – proseguì – non si è contenti. Quando riavremo la tranquillità e la pace? Dio solo lo sa e ce la può dare».
All’epoca si celebrava ancora la Messa di mezzanotte, poi fu sospesa a causa del coprifuoco.
La fame e il gelo caratterizzarono il Natale del 1944: l’inverno fu uno dei più freddi di tutto il secolo. Ammoniva il nuovo parroco, don Luigi Paviolo: «è un desiderio, un bisogno di tutti la sospirata cessazione della guerra e la pace. Ben venga, adunque, la novena del Santo Natale che ci prepara, in questo quinto anno di guerra, ad accogliere il Re della pace. Ma è necessario che il Re pacifico sia il desiderato, l’aspettato da tutti». Povero Natale del 1944!
Solo l’anno successivo la sospirata pace divenne realtà. Nella chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli riprese la tradizione della Messa di mezzanotte; i settimesi tornarono gradualmente alle loro abitudini.
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