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Vigìn resuscitato

Vigìn resuscitato
La telefonata, a quell’ora del mattino, non mi sorprese più di tanto. Le 6,30 antimeridiane era, infatti, l’ora preferita per le chiamate di Pino agli amici prima di partire per i lavori in campagna ed isolarsi dal resto del mondo. Con un po’ di stizza, comunque contenuta, mista a rassegnazione, sollevai la cornetta per ascoltare, come sempre, le ultime novità ed il prossimo recente futuro a 360 gradi dell’universo della pallapugno. Dal tono e dalla gravità della voce intuii che quella chiamata era diversa dalle altre ed infatti, senza preamboli, mi chiese di non prendere, o liberarmi, da eventuali impegni serali, perché Vigìn ’d sciom aveva deciso di iniziare l’ultimo combattimento della sua vita e la moglie, donna religiosissima e pia, desiderava al capezzale del marito amici e campioni che avevano fasciato il pugno con lui e diviso gioie e dolori, sconfitte e vittorie sui campi di Langa e Basso Monferrato. Pino Morino ufficialmente si dichiarava coltivatore diretto e produttore vinicolo alla Cascina Pola, poco fuori Nizza Monferrato. In realtà si era creata la nomea di missionario vagabondo del balun, una sorta di predicatore errante, sullo stile journey-man, personaggio popolare di una certa letteratura sudista Nordamericana. Si era alla fine di un settembre pieno di sole con la temperatura che si manteneva ancora su alti valori stagionali: di sera, però, le colline acquesi acquistavano quel senso di distacco non appena la nebbiolina calava sulle valli, incatenandole ad un totale disincanto. In collina, invece, i paesi continuavano a giocare con la luna e i silenzi, in attesa dell’inverno ormai prossimo. Passai a prendere Pino in cascina e arrivammo a casa di Vigìn sul far della sera: sull’uscio ad attenderci c’era la moglie, probabile vedova a stretto giro di ore, e la cognata, tutta vestita di nero, vedova di guerra da tanti anni e da sempre fedele alla memoria del marito defunto, del quale portava la foto in un medaglione, appeso a una collana girocollo di finto oro bianco. Ci trovammo subito in buona compagnia, vecchi campioni amici di sempre o semplici tifosi di pallone con il sindaco delegato a ricevere gli ospiti. Dai primi commenti si capì che Vigìn era stato colpito da trombosi cerebrale mentre qualcuno, più istruito, cercava di cucire frasi approfondite con paroloni tecnici appropriati per inutili spiegazioni, delle quali tutti avremmo fatto volentieri a meno. Vigìn era steso nel letto matrimoniale, vegliato da un nipote, figlio di un altro fratello emigrato in America senza più dare notizie. La stanza era buia, pallidamente rischiarata da una Madonnina accesa che qualcuno gli aveva regalato al ritorno di un viaggio a Lourdes. A sentire la moglie, Vigìn non doveva passare la notte visto il peggioramento improvviso delle ultime ore: di conseguenza, nessuno dei presenti aveva pensato alla cena. Fuori, intanto, si era fatto buio: alcune donne erano venute a portare conforto e sostegno morale: in cucina, leggermente in disparte, stavano recitando il Rosario per chiedere l’aiuto della Madonna, con la quale Vigìn aveva sempre mantenuto un ottimo rapporto. Verso le 10, Pino si alzò stancamente, scese in cantina (in quella casa lui era di casa) e salì con un paio di bottiglie di dolcetto, avidamente succhiato dai presenti che iniziarono a proporre soluzioni più o meno ottimali per rendere particolare il funerale dell’amico: mettere il cappello da alpino sulla bara o la maglietta della società pallonistica nella quale aveva militato per ultimo? Prendere una cantoria forestiera o un altro prete da fuori? Alla fine concordarono tutti, comunque, sulla presenza della banda, anche perché lui (l’agonizzante) aveva suonato, da giovane, la fisarmonica con orchestrine di liscio sui balli a palchetto della zona e composto, addirittura, un paio di canzoni ormai dimenticate da tempo. Intanto i viaggi in cantina di Pino si facevano sempre più frequenti, mentre sul tavolo comparivano salami, salsicce, carne cruda e formaggi, soprattutto gorgonzola, ottimo stimolante per bere. Le donne nel frattempo se ne erano andate senza salutare: in compenso era arrivato anche il parroco, animato sì da spirito cristiano ma anche dalla curiosità di poter vedere, tutti insieme, così tanti campioni del suo sport preferito. L’atmosfera andava pian piano stemperandosi in ordine diametralmente opposto alla crescita dei vuoti e verso mezzanotte di Vigìn rimaneva soltanto il pallido e quasi ingombrante ricordo di uno che, non per causa sua, era impossibilitato a partecipare alla festa in suo onore. Qualcuno provò ad attaccare una canzone, dapprima sottovoce e poi in un crescendo costante, sempre più forte, e senza un’intonazione particolare. Quando il cantoniere intonò «Era una notte che pioveva», la frittata era fatta! All’inizio della seconda strofa, con il prete a battere il tempo e il segretario comunale in totale imitazione Toscanini nel dirigere l’orchestra, si sentì distintamente un rumore metallico proveniente dalla stanza accanto, come se qualcosa fosse stato scagliato con forza sul pavimento. In un attimo la stanza venne invasa dai piuttosto alticci commensali, giusto in tempo per vedere Vigìn raddrizzarsi sul letto dopo aver scaraventato il tupìn per terra per attirare la nostra attenzione: «Per Dio - esclamò piuttosto inviperito - non vi ho mai sentito cantare così male!» Finzione, leggenda o realtà? Il serbatoio delle favole, si sa, è come un pozzo senza fondo alla cui acqua ciascuno può attingere in completa libertà. E da quelle parti, su quelle colline, storia e leggende convivono tranquillamente senza prevaricazioni. Chiunque abbia desiderio di aggiungere nuove pagine alla già ampia letteratura è sempre ben accetto: sono sufficienti un profondo amore, una conforme filosofia di vita, la fantasia galoppante, ma soprattutto tanta umiltà, merce rarissima ai nostri giorni. Ebbene: Vigìn visse per altri due anni raccontando a tutti la sua incredibile avventura. Nel paese si gridò al miracolo dopo che qualcuno con sottile ironia provvide a ribattezzare Lazzaro il resuscitato. Ed il giorno del suo funerale (quello effettivo) fu comunque un giorno di festa: durante l’omelia il parroco, sempre quello, non tralasciò di citare l’avvenimento chiarendo una volta per tutte lo svolgimento reale della vicenda della quale fummo noi testimoni. Sarà stata la musica, o forse l’entusiasmo per la vicinanza dei campioni o l’odorino che si spandeva da tutto quel ben di Dio sulla tavola, fatto sta che Vigìn riuscì a spostare le lancette del suo tempo, scegliendo volontariamente il momento di raggiungere il suo Signore, con il quale era andato sempre d’accordo, nella sua gloria eterna nei Cieli. Ah, dimenticavo: Pino ha raggiunto Vigìn nel Paradiso dei giocatori circa quindici anni or sono e non è difficile immaginarli seduti da qualche parte a discutere all’infinito su quella incredibile vicenda.

Aldo Cerot Marello

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