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Quando la politica è lavoro silenzioso

Attivismo, ambiente e diritti civili: Marco Riva Cambrino incarna a Chivasso un’idea di politica che parte dallo studio e arriva ai bisogni reali delle persone

Quando la politica è lavoro silenzioso

Il socialista ed attivista Marco Riva Cambrino.

In un contesto politico in cui spesso a dominare sono le polemiche più che i risultati, raccontare chi lavora sui problemi reali diventa una scelta quasi obbligata. Marco Riva Cambrino affonda le sue radici nel socialismo: suo padre, Livio Riva Cambrino, scomparso lo scorso novembre all’età di 85 anni, è stato una figura storica della politica chivassese, sindaco di Chivasso dal 30 settembre 1977 al 20 gennaio 1984, espressione della sinistra socialista e punto di riferimento per l’intera area progressista locale.

Attivista e politico chivassese, Marco Riva Cambrino da anni si occupa di ambiente, diritti civili e politiche sociali, lontano dai riflettori ma con ricadute concrete sulla vita della comunità. Il suo impegno nasce dal lavoro sul campo, dallo studio dei dossier amministrativi e dalla difesa dei diritti individuali, anche quando risultano scomodi o impopolari. Dalla vicenda della discarica di Chivasso alle battaglie condotte insieme all’associazione Luca Coscioni, Riva Cambrino incarna un’idea di politica che parte dai fatti e non dal tornaconto personale.

Marco Riva Cambrino preferisce definirsi semplicemente “un cittadino, con valori e ideali chiari, attivo nella propria comunità e non indifferente alle ingiustizie sociali. Se mi occupo di politica – sottolinea - lo faccio nel suo significato più originario: prendersi cura della cosa comune”.

Lo abbiamo intervistato

Partiamo dai social. Spesso vengono liquidati come luoghi di sfogo o di propaganda. Per te cosa rappresentano davvero?  

“I social, se usati con serietà, sono uno strumento. Io li utilizzo come spazio pubblico: per informare, ricostruire i fatti, rendere leggibili atti amministrativi, stimolare un dibattito che altrimenti resterebbe confinato a poche stanze. Non li uso per costruire consenso personale, ma per ridurre l’asimmetria informativa tra cittadini e istituzioni. In una città come Chivasso, questo fa la differenza”.

C’è chi pensa che l’attivismo online si fermi alle parole. Ti senti mai sottovalutato per questo? 

“Sì, succede. Molti mi accusano di “fare filosofia”, di non sporcarmi le mani. Ma i fatti lo smentiscono. E soprattutto, conoscendo spesso la provenienza di queste critiche: persone che hanno usato e usano la politica per interessi personali di carriera o per favorire associazioni “amiche” o amici telefonici; rivendico una cosa con serenità: non mi sono mai sporcato le mani né la coscienza. Non mi sono mai servito della politica; ho cercato, nel mio piccolo, di servire la politica, intesa come cura comune”.

Cosa significa per te “occuparsi politicamente di problemi reali”? 

“Significa partire dai bisogni concreti delle persone, studiare i dossier, leggere le delibere, conoscere le norme e poi restituire tutto questo in modo comprensibile. Vuol dire anche esporsi quando temi come povertà, marginalità, diritti civili o ambiente non sono popolari. Occuparsi di problemi reali non porta applausi immediati, ma produce cambiamenti lenti e spesso invisibili”.

Parliamo della discarica di Chivasso. Quanto è stata centrale quella battaglia? 

“È stata una tappa fondamentale. Non solo per la questione ambientale, ma per il metodo. La vicenda della discarica ha mostrato quanto sia importante il controllo civico, la trasparenza e l’accesso agli atti. È lì che ho maturato la convinzione che un cittadino informato possa incidere davvero, anche senza incarichi formali”.

Oltre all’ambiente, il tuo impegno ha toccato anche i diritti civili? 

“Sì, in modo netto. Con l’Associazione Luca Coscioni mi sono occupato di autodeterminazione, libertà di scelta, diritti che riguardano la dignità della persona. Sono temi che spesso vengono evitati a livello locale perché “divisivi”, ma che parlano direttamente della qualità della nostra democrazia”.

C’è chi ti accusa di spiegare agli altri come si deve fare pur non avendo mai fatto. A Chivasso, concretamente, su cosa hai lavorato? 

“Ho lavorato su petizioni popolari, istanze di cittadinanza, regolamenti comunali, politiche sociali, sicurezza urbana partecipata, beni comuni. Ho sollecitato atti, aperto discussioni che non c’erano, costretto, nel senso migliore del termine, l’amministrazione a prendere posizione. In alcuni casi sono arrivati anche riconoscimenti pubblici in Consiglio comunale. Non rivendico meriti personali, ma il valore di un metodo: partecipazione informata e ostinata”.

Perché non sei rientrato a tutti gli effetti in politica? Una pausa o una scelta? 

“È una scelta. Non escludo nulla in assoluto, ma non credo che la politica istituzionale sia l’unico luogo in cui si possa incidere. Preferisco mantenere una posizione di libertà, che mi consenta di criticare, proporre e collaborare senza vincoli di appartenenza o disciplina di partito”.

Riassunta in una frase: qual è la tua idea di politica? 

“La politica è cura comune, non gestione del potere; è responsabilità verso gli altri, non una scorciatoia per sé stessi”.

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