La Corte d’Appello di Torino ha confermato la scorsa settimana la condanna a due anni di carcere per l’istruttore di arrampicata Nicola Galizia. E’ lui il solo responsabile per la morte di Tito Traversa. In primo grado erano stati assolti per non aver commesso il fatto sia il responsabile della scuola Bi-side Luca Gianmarco, sia Carlo Paglioli, legale rappresentante della Aludesign spa, cioè l’azienda produttrice dei gommini dei moschettoni che erano stati montati male Per il tribunale, l’istruttore, a cui era stato affidato un gruppo di giovani atleti, quel giorno, avrebbe dovuto controllare l’attrezzatura utilizzata da Tito.
Tito Traversa
In primo grado
Il 3 luglio 2013 una giovanissima promessa dell’arrampicata sportiva, Tito Traversa, 12 anni, di Ivrea, muore in un incidente a Orpierre, nell’alta Provenza. A Torino, Il pm Francesco La Rosa chiede due condanne per omicidio colposo: 4 anni e 4 mesi per l’istruttore Nicola Galizia e 4 anni per Carlo Paglioli, titolare della Aludesign, cioè l’azienda bergamasca che ha prodotto una parte dell’apparecchiatura utilizzata dal giovane senza però allegare nel manuale, secondo l’impostazione accusatoria, adeguate indicazioni sul suo utilizzo. Per Luca Giammarco, legale rappresentante della Bi-Side, la palestra di Torino che aveva organizzato la gita in Francia viene proposta l’assoluzione. Il magistrato torinese decide di iscrivere le tre persone nel registro degli indagati dopo avere ricevuto la relazione della géndarmerie di Gap in Francia le cui conclusioni coincidevano con quelle dei suoi consulenti. Il giudice dispone anche un risarcimento di 100 mila euro ai famigliari, soldi che, come raccontato dal papà di Tito, saranno destinati a progetti in memoria del ragazzo e dedicati all’infanzia.
La ricostruzione
In base alle ricostruzioni, Tito Traversa, al momento della tragedia, aveva appena concluso la scalata di una parete di 20 metri. Aveva fissato una fune a una decina di moschettoni per intraprendere la discesa, ma otto di questi cedono facendolo precipitare nel vuoto. Le indagini hanno accertato che l’attrezzatura, prestatagli da una compagna di squadra, anche lei minorenne, non era stata montata in modo corretto. La fettuccia di sicurezza infatti, anziché ai moschettoni metallici, era stata ancorata ai soli gommini che servono a evitare che i moschettoni ruotino.
Alta Provenza
Nell’Alta Provenza l’arrampicata, il cosiddetto free-climbing, è di casa, uno sport che attrae molti appassionati. Il giovane Tito era uno di questi. Era partito da Torino tre giorni prima con il gruppo torinese B-side, del quale faceva parte da tempo. Con i suoi istruttori era andato a Orpierre per partecipare a una gara di arrampicata, una bazzeccola per uno che, a soli 12 anni, aveva già conquistato il titolo sia italiano sia mondiale di arrampicata libera. Quel giorno a Orpierre, però, non utilizzò la sua normale attrezzatura, ma quella prestatagli da una amica. Soddisfatti gli avvocati Paolo Chicco nominato dal papà Giovanni Traversa e Franca Sapone delegata dalla mamma: “Il tribunale ha confermato le responsabilità dell’istruttore che avrebbe dovuto controllare le attrezzature m”.
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