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12 Dicembre 2025 - 19:57
Kristina Joksimovic
La chiamata dell’asilo arrivò a metà mattina: le bambine non erano state ritirate e il telefono di Kristina Joksimovicnon rispondeva. Fu allora che il padre decise di passare dalla villetta di Binningen, nella periferia agiata di Basilea. Quello che trovò, il 13 febbraio 2024, è una scena che va raccontata con misura: una vita spezzata, una lavanderia trasformata in luogo di smembramento, utensili domestici e attrezzi da taglio usati su un corpo umano. Da quel giorno la Svizzera ha aggiunto un nome alla sua cronaca più nera: Kristina Joksimovic, 38 anni, ex finalista di Miss Svizzera 2007, coach di passerella, madre di due bambine.
Dopo quasi dieci mesi di indagini, il 10 dicembre 2025 la Staatsanwaltschaft Basel-Landschaft (Procura di Basilea Campagna) ha depositato l’atto d’accusa per omicidio e störung des Totenfriedens (disturbo della pace dei morti). L’imputato, 43 anni, si trova in carcerazione preventiva ed è da considerarsi presunto innocente fino a sentenza definitiva. In base al diritto svizzero alla tutela della personalità, la Procura non ha diffuso il nome completo: i media lo indicano con lo pseudonimo “Thomas”. La data del processo non è ancora stata fissata. Le autorità inquirenti confermano luogo e data del delitto, Binningen e 13 febbraio 2024. Le dinamiche emergono dagli atti giudiziari resi noti nel corso dell’inchiesta e dalle ricostruzioni giornalistiche basate su documentazione ufficiale.

Secondo quanto riferito da testate svizzere e internazionali sulla base di referti autoptici e provvedimenti giudiziari, Thomas avrebbe prima strangolato la moglie e poi tentato di smembrare il corpo utilizzando una sega, un coltello, cesoie da giardino e un frullatore a uso domestico, insieme a una soluzione chimica impiegata per dissolvere i tessuti. Le perizie parlano anche dell’asportazione dell’utero, elemento ritenuto rilevante dagli investigatori, anche se il suo significato giuridico sarà valutato nel dibattimento. Dalle carte emerge inoltre che l’uomo avrebbe guardato video su YouTube durante le operazioni di occultamento, un dettaglio che, se confermato in aula, potrebbe pesare sulla valutazione della condotta successiva al fatto. Dopo l’arresto, l’imputato avrebbe inizialmente dichiarato di aver trovato la moglie già morta, per poi ammettere l’uccisione sostenendo la legittima difesa, parlando di un’aggressione con coltello. I medici legali, però, hanno rilevato segni compatibili con la compressione del collo e dinamiche difficilmente conciliabili con un confronto improvvisato a esito difensivo. In casa sono stati recuperati frammenti di pelle, tessuti e ossa. Gli inquirenti collocano il caso tra i femminicidi più rari e disturbanti, caratterizzati da una brutalizzazione post mortem.
Dietro il clamore mediatico c’era una persona con un percorso professionale preciso. Kristina Joksimovic, cresciuta nell’area di Basilea e con radici serbe, aveva conquistato il titolo di Miss Nordovest Svizzera e nel 2007 era arrivata tra le finaliste di Miss Svizzera. Negli anni aveva lasciato le passerelle per lavorare come coach di sfilata, formando giovani modelle e modelli su postura e consapevolezza del movimento. Sui social pubblicava video di allenamento professionale; chi l’ha conosciuta la descrive come una presenza concreta, lontana dagli stereotipi dello spettacolo. Dal 2017 era sposata con Thomas e dalla coppia erano nate due bambine. Alcune testimonianze raccolte dalla stampa parlano di un rapporto che all’esterno appariva solido, mentre altre riferiscono di tensioni negli ultimi mesi e di almeno un intervento delle forze dell’ordine. Sarà il tribunale a distinguere con rigore tra elementi verificati e semplici voci.
La sequenza dei fatti è ormai chiara nelle sue tappe principali. Il 13 febbraio 2024 Kristina Joksimovic viene uccisa nella casa di Binningen. Il 15 febbraio 2024 la Procura di Basilea Campagna comunica l’identità della vittima, 38 anni, e il fermo del marito, allora 41enne; le figlie vengono affidate ai servizi competenti. Nei mesi successivi, tra primavera ed estate 2024, l’uomo ammette il fatto sostenendo la legittima difesa; emergono dalle decisioni giudiziarie e dai referti i dettagli sullo strangolamento e sullo smembramento. Il 10 dicembre 2025 la Procura annuncia la chiusura delle indagini e il deposito dell’atto d’accusa per omicidio e disturbo della pace dei morti, con l’imputato ancora in custodia cautelare in attesa del processo davanti al Tribunale penale di Basilea Campagna.
Gli atti confermano con certezza alcuni dati: il luogo e la data del delitto, l’età delle parti, l’arresto del coniuge, la carcerazione preventiva e i capi d’accusa. Dai referti autoptici e dai provvedimenti citati in articoli documentati emergono ulteriori elementi, come la causa della morte individuata nello strangolamento, le modalità dello smembramento e l’uso di strumenti e sostanze. Sono aspetti che la difesa potrà contestare nel merito e nel loro nesso con il movente. Le ipotesi su una possibile separazione imminente compaiono in alcune ricostruzioni giornalistiche, ma restano tali finché non saranno provate in aula.
La copertura mediatica del caso richiede anche una spiegazione delle regole elvetiche. In Svizzera, fino a una condanna definitiva, è prassi frequente proteggere l’identità degli indagati, soprattutto quando sono coinvolti minori o contesti familiari. L’uso di pseudonimi come “Thomas” o delle sole iniziali non è una scelta arbitraria, ma il risultato di un bilanciamento tra diritto all’informazione e diritto alla personalità.
Questo caso si inserisce in un contesto più ampio che i dati ufficiali rendono evidente. Nel 2023 le autorità svizzere hanno registrato 19.918 reati di violenza domestica, circa 54 al giorno, e 25 omicidi in ambito familiare. Secondo l’Ufficio federale di statistica, tra 2019 e 2023 il 93% delle vittime di omicidi all’interno della coppia erano donne. Per il 2024, approfondimenti della radiotelevisione svizzera basati su dati ufficiali parlano di 26 femminicidi in ambito domestico, con 19 vittime femminili, mentre associazioni specializzate segnalano possibili differenze legate alle definizioni adottate. Le cifre non spiegano tutto, ma indicano una tendenza strutturale che chiama in causa prevenzione e interventi precoci. La Svizzera, firmataria della Convenzione di Istanbul, sta rafforzando strumenti come ordini di protezione più rapidi, coordinamento tra istituzioni e formazione degli operatori.
Nel processo che verrà, al di là dell’impatto emotivo, conteranno le prove. I giudici dovranno valutare la causa della morte e la dinamica, verificando se le lesioni e la scena siano compatibili con la tesi della legittima difesa. Peserà la condotta successiva al fatto, dallo smembramento all’uso di strumenti e sostanze, elementi che in diritto penale svizzero possono incidere sulla qualificazione del reato e sulla pena. Saranno inoltre centrali le eventuali perizie psichiatriche, chiamate a stabilire lo stato mentale dell’imputato e la sua capacità di intendere e volere.
La diffusione di dettagli estremi ha alimentato titoli sensazionalistici anche fuori dalla Svizzera. Raccontare i fatti con precisione, evitando la spettacolarizzazione della violenza, è una responsabilità del giornalismo. Significa restituire Kristina Joksimovic alla sua dimensione di professionista e madre, ricordando al tempo stesso che l’imputato non è ancora stato condannato.
Restano questioni aperte che il dibattimento dovrà chiarire: il movente, l’eventuale presenza di precedenti interventi per violenza domestica, la natura e la provenienza della soluzione chimica, l’effettivo utilizzo di contenuti online durante o prima dei fatti e il loro valore probatorio. Sono aspetti che richiedono risposte documentate, non supposizioni.
In Svizzera esistono reti di supporto attive giorno e notte, numeri di emergenza cantonali e case rifugio che offrono assistenza e consulenza anche in forma anonima. Chiedere aiuto è un diritto e intervenire davanti a segnali di rischio è una responsabilità civile.
In attesa del processo davanti al Tribunale penale di Basilea Campagna, restano due certezze. La prima è giuridica: la presunzione d’innocenza e il diritto a un processo equo. La seconda riguarda la comunità: la necessità di raccontare alle due bambine chi era davvero Kristina Joksimovic, oltre il clamore e l’orrore. Anche questo è parte del lavoro della giustizia e dell’informazione.
Fonti: Staatsanwaltschaft Basel-Landschaft (Procura di Basilea Campagna); Tribunale penale di Basilea Campagna; Ufficio federale di statistica; Radiotelevisione svizzera (SRG SSR); Convenzione di Istanbul; articoli di inchiesta di testate svizzere e internazionali basati su atti giudiziari.
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