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Cronaca

“Ghenos”, la rete dei tombaroli che saccheggiava il Sud: 56 misure tra Sicilia e Calabria, la caccia ai reperti arrivava fino a Regno Unito e Germania

Oltre 200 Carabinieri impegnati nel blitz coordinato da Catania e Catanzaro

“Ghenos”, la rete dei tombaroli che saccheggiava il Sud: 56 misure tra Sicilia e Calabria, la caccia ai reperti arrivava fino a Regno Unito e Germania

“Ghenos”, la rete dei tombaroli che saccheggiava il Sud: 56 misure tra Sicilia e Calabria, la caccia ai reperti arrivava fino a Regno Unito e Germania

ChatGPT ha detto:

La notte prima del blitz qualcuno ha sentito il fruscio di pale e picconi sotto un cielo senza luna, in una campagna dell’entroterra siracusano. Un bagliore azzurro di metal detector, una buca che si allarga, una statuetta che riaffiora e passa di mano in mano nel giro di pochi secondi. All’alba la scena si capovolge: le sirene fendono il silenzio, gli elicotteri disegnano cerchi stretti sopra i campi, le porte si aprono a colpi di mandati. È così che prende forma l’operazione “GHENOS”, un’azione coordinata e simultanea che mette nel mirino una presunta rete di tombaroli e ricettatori attiva da anni tra Sicilia e Calabria, capace — secondo gli inquirenti — di spingere reperti archeologici trafugati fino ai mercati del Regno Unito e della Germania. Nel perimetro dell’indagine finiscono 56 persone, raggiunte da misure cautelari disposte dalle Procure di Catania e Catanzaro, mentre sul campo si muovono oltre 200 Carabinieri, con il supporto del 12° Nucleo Elicotteri e dello Squadrone Eliportato “Cacciatori Sicilia”.

La fotografia che emerge dagli atti è quella di un’architettura criminale strutturata, pensata per presidiare ogni passaggio della filiera del traffico illecito di beni culturali: dallo scavo clandestino al confezionamento delle vendite, fino all’esportazione oltreconfine. Il tronco principale dell’inchiesta nasce a Catania, sotto la regia della Procura distrettuale e con l’esecuzione affidata al Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Palermo e ai reparti territoriali dell’Arma. Qui il GIP firma un provvedimento articolato che, nel solo filone etneo, conta 45 misure: custodie cautelari in carcere, arresti domiciliari, obblighi di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria, fino alla sospensione dell’esercizio d’impresa per il titolare di una casa d’aste. Un mosaico che racconta ruoli diversi e un livello di organizzazione che va oltre l’improvvisazione.

In parallelo, il fronte coordinato dalla Procura di Catanzaro salda la Calabria alla Sicilia e proietta le indagini verso Roma, Firenze, Ravenna e Ferrara, componendo il totale di 56 misure cautelari. È la logica dell’operazione a tenaglia: due scacchiere giudiziarie che colpiscono gruppi ritenuti dediti allo stesso core business criminale, con una distribuzione territoriale che riflette i flussi del traffico. I Carabinieri entrano in azione in simultanea nelle province di Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta ed Enna, mentre deleghe e perquisizioni raggiungono il Centro-Nord e l’estero. La mappa operativa restituisce la misura del fenomeno: reperti nascosti nel sottosuolo del Mezzogiorno che, una volta estratti, vengono instradati verso circuiti collezionistici internazionali.

Il lessico del saccheggio, nelle carte dell’ordinanza, è quello ormai noto agli investigatori ma aggiornato alla tecnologia. I sopralluoghi notturni avvengono con strumentazione specifica, gli scavi sono rapidi e selettivi, concentrati attorno a necropoli e aree a stratificazione nota alla comunità scientifica. I reperti passano poi ai ricettatori, destinatari consapevoli di beni che la legge considera di proprietà dello Stato, e vengono “ripuliti” attraverso documenti falsi, cataloghi di gallerie compiacenti o vendite private, anche tramite vetrine digitali. Le contestazioni spaziano dall’associazione per delinquere all’impossessamento illecito di beni culturali, dalla ricettazione all’autoriciclaggio, fino alla contraffazione di opere d’arte e all’esportazione illecita, con il Codice dei beni culturali e del paesaggio a fare da bussola normativa.

Le province di Siracusa e Catania emergono come cuore degli scavi clandestini, ma le ricadute coinvolgono anche Ragusa, Enna, Messina e Caltanissetta. Qui il danno non è solo materiale: ogni buca illegale cancella informazioni, spezza relazioni tra oggetti e contesti, produce un vuoto di conoscenza che nessun recupero tardivo può colmare. È il furto invisibile della memoria collettiva, quello che pesa quanto — e più — del valore economico del reperto. Un valore che, paradossalmente, cresce proprio quando si cancellano le prove di provenienza, alimentando il mercato nero attraverso falsificazioni e “passaporti” fittizi.

Il nome “Ghenos” non è casuale: richiama l’origine, il ceppo, e segnala l’intenzione di risalire alla radice del crimine contro il patrimonio, colpendo l’intera filiera e non solo l’ultimo passaggio commerciale. Il coordinamento tra le Procure di Catania e Catanzaro, con il supporto del Comando Carabinieri TPC di Roma, dei reparti aerei e dei Cacciatori Sicilia, rende possibile un’azione estesa e sincronizzata, inclusa la cooperazione giudiziaria internazionale. Le misure cautelari — è bene ricordarlo — non sono condanne, ma strumenti adottati in fase d’indagine in presenza di gravi indizi e specifiche esigenze cautelari, nel rispetto della presunzione di innocenza.

Il coinvolgimento di Regno Unito e Germania manda un segnale chiaro al mercato internazionale: la tracciabilità digitale e la cooperazione tra Stati rendono sempre più rischioso il commercio di oggetti privi di provenienza certificata. Le prossime tappe saranno interrogatori, riesami, perizie sui reperti e accertamenti sui flussi finanziari, con la possibilità che emergano nuovi filoni. Intanto, l’operazione “Ghenos” si impone come uno dei colpi più significativi del 2025 contro il saccheggio archeologico, ricordando che ogni reperto sottratto alla terra è una storia interrotta e che la tutela del patrimonio non è una questione per specialisti, ma un investimento civico che riguarda tutti.

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