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Tribunale del riesame

Omar ai giudici: «Tutte calunnie, lasciatemi vedere mia figlia»

I giudice valuteranno il ricorso presentato dalla Procura di Ivrea

Omar Favaro

Omar Favaro

È stata discussa questa mattina al palazzo di giustizia di Torino la richiesta di appello della Procura di Ivrea  di disporre una misura restrittiva per Omar Favaro, 39 anni, coinvolto nell'omicidio di Novi Ligure (Alessandria) di 22 anni fa, ora sotto inchiesta per una vicenda di presunti maltrattamenti alla ex moglie, Barbara F.

In primo grado il Giudice aveva respinto la richiesta da qui la decisione di presentare ricorso al Riesame, che per oltre un’ora ha ascoltato entrambe le posizioni.

Davanti al collegio ha parlato anche Omar: «Sono accuse calunniose, non ho mai fatto nulla di quello che mi attribuisce la mia ex moglie».

L'avvocato Lorenzo Repetti

Dal canto suo l'avvocato difensore, Lorenzo Repetti, ha depositato una documentazione "che corrobora - ha spiegato - le nostre argomentazioni".

Il legale ha anche fatto presente che dallo scorso gennaio Omar Favaro non ha la possibilità di incontrare la figlia nonostante sia stato disposto l'affidamento congiunto con la mediazione degli assistenti sociali e "una consulenza tecnica di ufficio abbia sottolineato che anche lui, come l'ex moglie, sia capace di genitorialità".

La donna aveva raccontato agli inquirenti un rapporto matrimoniale tormentato da soprusi, intimidazioni e percosse.

La procura di Ivrea, nella sua richiesta, ha fatto un cenno al caso di Novi Ligure. "Ma quel precedente - è stata la replica dell'avvocato Repetti - non ha nessun rilievo. Sono passati 22 anni, Omar all'epoca era minorenne, il contesto è completamente diverso. Anche il gip, nel respingere la prima richiesta dei pubblici ministeri di Ivrea, si era detto di questo parere...".

E poi ancora sempre Repetti: "Questa vicenda non ha nulla a che vedere con i fatti di Novi Ligure. Il passato del mio assistito è strumentalizzato dai media".

Omar dopo l'udienza

L'accusa

Favaro è stato accusato dalla Procura di Ivrea  per fatti che risalgono al periodo del Covid, tra il 2019 e il 2021, avvenuti in un comune della prima cintura di Torino.  

Dopo avere subito presunte minacce e violenze, la moglie, da cui ora si è separato, si era rivolta ai carabinieri. 

“Il suo passato - dice l'avvocato difensore - non c’entra ma continua a perseguitarlo e non deve essere strumentalizzato come invece si sta cercando di fare in una vicenda che guarda caso nasce proprio durante una causa di separazione dove è in discussione l’affidamento della figlia". 

Epperò il passato ritorna eccome e riporta a galla fatti che tutti avrebbero voluto dimenticare.

Era il 21 febbraio del 2001 quando, per la prima volta, il nome di Omar appare su tutti i media, associato a quello della fidanzata dell’epoca, Erika, per la strage familiare che sconvolse l’Italia. 

Nelle indagini della Procura di Ivrea emerge che Omar avrebbe minacciato la moglie di morte, picchiandola, abusando di lei con soprusi fisici e psicologici, scaraventandola a terra, legandole polsi e caviglie per poi costringerla a subire di tutto, stringendole la gola con le mani. 

E poi frasi da brivido: «Ti sfregio la faccia con l’acido», «ti mando su una sedia a rotelle», «ti faccio la festa», «Fai schifo», «non esci viva da qui».   

La Procuratrice Gabriella Viglione

Per questo la pm Valentina Bossi e la Procuratrice capo Gabriella Viglione della Procura di Ivrea hanno tentato di fermare Omar, chiedendo una misura cautelare: il divieto di avvicinamento per quelle ripetute minacce di morte. 

In seguito al rifiuto del giudice (a suo dire non ci sarebbe più “l’attualità del pericolo”), hanno presentato appello e ora, il fascicolo è arrivato al tribunale del riesame di Torino che dovrà rivalutare la situazione delle vittime e il rischio che stanno correndo.

Omar e l’ex moglie si erano conosciuti circa otto anni fa sui social. Oggi la donna vive con un nuovo compagno e sta cercando di rifarsi una vita. Omar avrebbe continuato a minacciare entrambi.

Quell'atroce delitto

Un delitto atroce, per la sua efferatezza, per la giovane età degli assassini, per la freddezza con cui cercarono di negare tutto. Sono passati 22 anni dal massacro di Novi Ligure, in provincia di Alessandria, quando “Erika e Omar”, uccisero a coltellate la madre e il fratellino di lei,  in una villetta del quartiere Lodolino.

Da tempo i due sono usciti dal carcere e hanno cercato di farsi una nuova vita.

Risale al 2019 la notizia che Erika De Nardo si era sposata. A rivelarlo al settimanale Oggi era stato don Antoni Mazzi, fondatore della Comunità Exodus che aveva ospitato la giovane.

“Erika ha una nuova vita, si è sposata. Ha maturato la giusta consapevolezza sulla tragedia, quella che permette di continuare a vivere. Il padre è stato molto importante in questo processo”, aveva detto don Mazzi in una lunga intervista.

Erika De Nardo aveva 16 anni quando, il 21 febbraio 2001, a Novi Ligure, insieme all’allora fidanzatino Omar Favaro, anche lui sedicenne, uccise con 96 coltellate la madre Susi Cassini e il fratellino Gianluca, di undici anni.

Immagine di repertorio

La donna venne ritrovata sul pavimento della cucina, il figlio nella vasca da bagno al piano superiore.

Fu la stessa Erika a dare l’allarme, dicendo di essere riuscita a sfuggire a degli sconosciuti armati di coltello, entrati all’improvviso in casa, ma mentre si trova con Omar nella caserma dei carabinieri, venne filmata mentre mimava le coltellate e cercava di rassicurare il complice. I ragazzi vengono fermati e portati in carcere.

In primo grado, nel dicembre 2001, il tribunale dei minori di Torino condanna Erika a 16 anni e Omar a 14 anni, sentenza confermata in Cassazione. 

Per effetto dell’indulto e dello sconto di pena per buona condotta, per entrambi il periodo di detenzione si è poi ridotto, fino al loro definitivo ritorno in liberta’: per Omar da marzo del 2010, per Erika dal dicembre 2011.

Lui, dopo essersi trasferito con i genitori da Asti ad Acqui Terme, aveva provato a rifarsi una vita in Toscana con una compagna e, infine, stando a quel che si è appreso oggi si era trasferito in provincia di Torino.

Per lei, già prima del “fine pena”, si erano aperte le porte della comunità Exodus di don Mazzi, dove è rimasta per alcuni mesi anche dopo. Nel periodo di detenzione Erika si e’ prima diplomata e poi laureata in filosofia con 110 e lode, mentre in comunità si è occupata di volontariato. In tutti questi anni il padre Francesco le è stato sempre vicino.

 

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