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Larva convivialis.

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Larva convivialis. Durante i simposi degli antichi romani diventò consuetudine mostrare un piccolo scheletro. Era detto larva convivialis era un piccolo scheletro snodabile, in effetti, in latino, la parola larva alludeva a un fantasma, a una maschera terrificante oppure a uno scheletro. La larva partecipava in modo assai singolare ai sontuosi banchetti romani; realizzato in bronzo o, ancor più prezioso, in argento, aveva la funzione di “memento mori”, ricordati che devi morire, un classico monito epicureo, la filosofia epicurea nel I sec. d.C. andava molto di moda nelle classi alte della società romana, ed era condotto a tavola dalla servitù, dopo che i commensali si erano sollazzati con pietanze strepitose e si erano “rifatti gli occhi”, guardando il lussuoso arredamento della sala da pranzo. Un esempio illuminante di come la larva convivialis fosse introdotta a mensa si riscontra in un passo del “Satyricon” di Petronio, scrittore e politico romano del I secolo, quando l’autore racconta con toni vivaci una luculliana cena a casa del liberto (persona in precedenza schiavizzata che è stata liberata dalla condizione di schiavitù) Gaio Pompeo Trimalcione Mecenaziano, un personaggio inventato, una sorta di parvenu ante litteram, dalla vita avventurosa. Petronio nel Satyricon, descrivendo la cena di Trimalcione, ricorda l’usanza: “Mentre stavamo bevendo e ammirando con grandissima attenzione quel lusso, un servo portò uno scheletro d’argento costruito in modo che le articolazioni e le vertebre snodate si potessero piegare in ogni parte”. Lo gettò più d’una volta sulla tavola per ricordare quel che saremo, invitando ad approfittare dei piaceri del momento. Lo scheletro “conviviale” ha origini ellenistiche – un mosaico del III secolo a.C., che raffigura uno scheletro sdraiato che gusta pane e vino è stato scoperto ad Antiochia (Turchia meridionale) – ed è stato reinterpretato molte volte nel tempo: sotto forma di scultura, in diversi mosaici e persino in alcune coppe destinate ai banchetti. Pare che l’usanza era più antica e nacque nell’Egitto faraonico. Erodoto nelle Storie testimonia che finito di mangiare, un uomo porta in giro una statua di legno in una bara, scolpita e dipinta in modo da imitare alla perfezione un cadavere, lunga uno o due cubiti; e mostrandola a ciascuno dei convitati. Lo schiavo diceva di guardarlo e bere e divertirsi perché da morto sarai così. Non si deve dimenticare, ricordando le nostre misure, che un cubito reale egizio era una venti na di millimetri più del mezzo metro; quello greco-egizio, invece, corrispondeva a quattro decimetri e mezzo abbondanti. Vale la pena riflettere su una scritta incisa in delle coppe di epoca ellenistica: “Godi finché vivi, poiché il domani è incerto. La vita è una commedia, il godimento è il bene supremo, la voluttà il tesoro più prezioso: sii lieto, finché sei in vita.” Questa citazione richiama alla memoria una celebre frase pronunciata secoli dopo da un illustre mecenate fiorentino. Favria, 29.09.2022 Giorgio Cortese Buona giornata. Ogni giorno troviamo la speranza negli occhi dei miei simili. Felice giovedì.
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