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SETTIMO TORINESE. Meno 5

SETTIMO TORINESE. Meno 5

Municipio Settimo

Ultimi ma non ultimi per importanza, i programmi. Parlo dei programmi delle coalizioni in competizione per il governo di Torino che, nei limiti del fattibile, chi governerà s’impegna a imbastire e/o realizzare.

Dico subito che i programmi dei principali candidati, più discorsivo quello di Damilano, più puntuale quello di Lo Russo, hanno il dono della brevità, meno di quaranta pagine. Agli estremi - un pugno di pagine – D’Orsi (Sinistra in Comune ed altri) e, al contrario, la pentastellata Sganga con un elenco circostanziato tra obiettivi e cose fatte, rivendicando d’aver «bloccato la riduzione delle Circoscrizioni da otto a cinque». Un capitolo, quello delle Circoscrizioni amministrative, su cui occorrerebbe sollevare il velo d’ignoranza del quale è ammantato, e ciò comporta forzatamente un discorso a parte.

Opportunamente, le organizzazioni sindacali del Comune hanno promosso un incontro con i candidati della coalizione di centro–destra e dei Cinque Stelle (entrambi assenti), di centro-sinistra e della Sinistra in Comune. Interrogare chi potrebbe diventare titolare pro-tempore di un’impresa di circa 8 mila dipendenti consente di verificarne la concretezza delle proposte e la conoscenza della macchina comunale. Ecco allora che si è parlato d’incremento dell’organico, di formazione professionale e di affiancamento dei nuovi arrivati al personale già in servizio per il passaggio di competenze e del sapere acquisito, di digitalizzazione e di lavoro agile. L’impressione che se ne ricava è di un certo pragmatismo (Lo Russo), del tentativo di proporre un’altra visione del ruolo del Comune (D’Orsi), entrambi consapevoli che la struttura amministrativa ha bisogno urgente di fare il tagliando, non fosse altro che per l’età del personale in servizio (nel 2019, 54 anni in media).

Quanto siano strategiche per l’appeal delle amministrazioni le cosiddette «risorse umane» e gli investimenti nella riqualificazione e nei servizi di prossimità è dimostrato proprio dalla crisi del rapporto tra le amministrazioni a trazione Pd e le periferie torinesi, che si sentirono tradite nel 2016 e affidarono alla Appendino il governo della città.

Ora, le serie storiche dei risultati fanno dire che «il voto a destra delle periferie è ormai sistemico e a nulla possono le congiunturali iniziative di campagna», portando perciò a considerarle perse per lo schieramento del candidato Lo Russo. Sembra che stavolta, per vincere, il Pd debba guardare a quella «città di mezzo», né centro né periferia, ancora effettivamente contendibile.

Se sconfiggere la profezia che si autoadempie e «riprendersi le periferie», con il loro portato di contraddizioni, malesseri e potenzialità, divenisse l’imperativo categorico di una rinata sinistra di governo, occorrerebbe ripensare all’esperienza di Diego Novelli, di quel miscuglio di coraggio, orgoglio, radicalità, dignità, intelligenza, studio, modestia, applicazione, in una parola di quella credibilità della politica che fu la cifra di una stagione indimenticabile.

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