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Kabul. Il proprio figlio a uno sconosciuto

Kabul. Il proprio figlio a uno sconosciuto
E’ tra genitori che ci si passa i figli. Al più con i nonni, un parente o un amico caro. Quando li si passa, li prendi con le tue mani fidate per la vita e attendi che le altre mani fidate lo afferrino. Ma le mamme di Kabul non hanno questo privilegio: il loro porgere è per affidarli a mani sconosciute in questo caso a mani militari. Mamme, donne, intrappolate in una frontiera di filo spinato, tra pianti e urla, lanciano i loro bambini verso dei soldati. In genere i soldati fanno paura ai bambini, ma non in questi giorni di terrore e caos a Kabul. Bambini e bambine spinti verso l’alto, in un luogo dominato dalla polvere, muri di cemento, rumore di gente che scappa, spari … le loro mani verso quei soldati mai conosciuti e che mai conosceranno. Urla straziante di madri, lacrime da quei soldati sconosciuti, quando quel corpicino “lanciato” troppo poco lontano dalla mamma, tanto poco da “atterrare” sul filo spinato … Dolore straziante, gesto difficile da capire: ma alle spalle c’è una città fatta di violenze, c’è il passato, c’è un buco nero, dall’altra guardando agli aerei cargo che atterrano e decollano, c’è un futuro di speranza, un tentativo di regalare un mondo che non si chiami Afghanistan ai propri figli. Un gesto estremo, quello di “passare” il proprio figlio a uno sconosciuto, un sacrificio inimmaginabile di madri e padri, un dramma che spesso sviliamo con la formula burocratica di “migranti minori non accompagnati”!

In Afghanistan esistono tanti bambini, ma non esiste più l’infanzia. (da Il cacciatore di aquiloni)

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