Come vi ho promesso due settimane fa, oggi continuerò a triturarvi i maroni con il mitico e mitocondriale San Bernardino, in questo caso parlandovi della Chiesa omonima, situata nella zona eporediese denominata comunemente "Il Convento", per via del fatto che una volta vi era un Convento Francescano. Oppure il soprannome e il fatto che vi fosse tale comunità potrebbe essere puramente casuale, ma onestamente mi parrebbe una stronzata. La Chiesa e il Convento vennero costruiti tra il 1455 e il 1457, insomma con rara celerità, più o meno il tempo che occorre a scavare un metro di galleria di servizio della TAV o a me a dichiararmi a una donna. All'inaugurazione del sistema architettonico parteciparono il Vescovo di Ivrea, Giovanni Parella di San Martino, che dal nome sembrerebbe dotato del dono dell'ubiquità, e il Vicario Francescano di Milano, tale Gigno Vinia, che per celebrare l'evento propose un connubio tra il risotto allo zafferano e i fagioli grassi, la salsiccia no perché i vercellesi si sarebbero incazzati. Presto la Chiesa risultò troppo piccola per i fedeli che accorrevano la domenica in assenza dell'Ikea, quindi venne ampliata con la costruzione di numerose nuove cappelle connesse, con rispetto parlando. Il Convento ottenne la protezione di Amedeo IX di Savoia e di sua moglie Iolanda di Valois, nonché di tale Anna Malo, che indossava la mascherina nel timore che un suo soffio potesse far crollare la struttura come la capanna di paglia del primo porcellino. Col tempo il Convento andò verso il decadimento, diventando in periodo napoleonico un deposito agricolo. Insomma, le centinaia di presepi lì riposti dalla nota collezionista Georgia Popolo vennero presto seppelliti da cumuli di granaglie. Poi a inizio Novecento arrivarono i Nostri, che a Ivrea sono sempre stati gli Olivetti, a salvare il complesso dal completo sfacelo. Degli affreschi dello Spanzotti non vi dico nulla perché voglio ancora cavare sangue dalle rape. Ora vi saluto che vado a farmi sterilizzare insieme al mio gatto.
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