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10 Luglio 2020 - 17:00
Carlo Muzio, conosciutissimo veterinario chivassese che insieme al dottor Fernando Naretto e alla dottoressa Ilenia Barbero lavora nello studio di via Piave/angolo via Tellini, ci ha raccontato come il Coronavirus ha influenzato e modificato il lavoro della sua categoria pre e post lockdown e cosa ha comportato per i nostri amici a quattro zampe.
“All’inizio, prima del lockdown, un po’ come tutti, eravamo molto disorientati quando arrivavano notizie frammentate sul cosa e come fare e su ciò sarebbe stato. Abbiamo cercato di acquisire più informazioni possibili, in base a cosa diceva anche l’Ordine dei Veterinari - comincia a raccontare -. Quando è iniziata la quarantena, essendo noi un’attività sanitaria abbiamo potuto continuare a lavorare eliminando, però, la parte routinaria e quindi le chirurgie di routine e le vaccinazioni, che erano tranquillamente rimandabili di qualche settimana. L’ambulatorio è rimasto aperto, ma lavoravamo solo su appuntamento per le visite urgenti e non prorogabili… nel caso dei nostri pazienti l’anamnesi riferita dai proprietari è sempre molto frammentaria, nel senso che un gatto che vomita potrebbe avere da una semplice gastrite a un blocco intestinale a un blocco delle vie urinarie, quindi tendenzialmente le visite cliniche si facevano per inquadrare il tipo di patologia e poi, se risultava assente il rischio vita, l’animale veniva seguito a casa dal padrone sulla base delle nostre indicazioni - spiega -. Abbiamo effettuato gli interventi chirurgici d’urgenza ed essendo noi in tre abbiamo deciso di essere reperibili uno per volta, di modo da lavorare da soli. Lavoravamo completamente bardati di tutto ciò che era necessario, nonostante sia anche stato difficile reperire i presidi sanitari di protezione individuale, ad esempio le mascherine”.
Ma come è stata la reazione dei proprietari di animali in questo periodo, anche alla luce del fatto che girava voce che gli animali potessero trasmettere il Coronavirus all’uomo? Il dottor Muzio ci ha spiegato che le persone spaziavano da quelle terrorizzate a quelle che se ne fregavano e arrivavano senza mascherina nonostante i dottori avessero dato indicazioni di usarla ed entrare uno per volta in ambulatorio. Ci ha anche raccontato di giornate intere passate al telefono. “Le chiamate da parte dei proprietari degli animali erano continue per avere informazioni e risposte, in particolare quando si era sparsa la falsa notizia che gli animali potessero veicolare il Coronavirus… oltretutto in molti, cercando su internet, avevano letto di Coronavirus nel cane e nel gatto… certo, il virus esiste anche per loro, ma si tratta di ceppi specie-specifici e che nulla hanno a che vedere con il Covid 19 e l’uomo. Si era scatenato il panico, telefonate a manetta. Tutto ciò che è stato gestibile per telefono lo abbiamo portato avanti così, di modo da muoverci e far muovere di casa le persone il meno possibile - racconta . Anche noi eravamo un po’ intimoriti, non c’erano notizie sicure: un giorno dicevano un cosa e il giorno dopo il contrario”. Col tempo ci si abitua e adegua a tutto e anche quella situazione anomala, poco alla volta, è diventata routine. “Abbiamo imparato a gestire i ritmi, la clientela e siamo riusciti a far girare il lavoro facendo entrare singolarmente le persone. Dopo le prime settimane di confusione la situazione si è assestata ed è davvero diventata routine anche la non routine”.
Finito il lockdown il ritorno alla normalità o quasi. “Ora l’attività è quella di prima, ma sempre mantenendo le visite su appuntamento e smistando i clienti all’interno dell’ambulatorio… avendo tre sale per le visite ambulatoriali siamo fortunati e riusciamo a gestire almeno due pazienti per volta, limitando l’accesso alla sala di attesa a due persone e facendo accompagnare gli animali solo da una persona. Quindi le regole base che utilizzavamo durante il lockdown le abbiamo mantenute, così come l’utilizzo delle protezioni fino a quando sarà obbligatorio, ma il lavoro è decisamente tornato quasi alla normalità e abbiamo ripreso sia le chirurgie di routine che le profilassi vaccinali”.
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