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Le mutande con il pelo e il genio di Kim Kardashian: quando anche la provocazione diventa merce

Dal Faux Hair Micro String Thong al marketing del corpo “naturale”: Skims lancia il perizoma con pelo finto e trasforma l’ennesimo tabù in un prodotto da vendere, tra body positivity, scandalo studiato e casse che suonano

Le mutande con il pelo e il genio di Kim Kardashian: quando anche la provocazione diventa merce

C’è un momento, nella storia dell’umanità, in cui qualcuno decide che il confine tra provocazione e presa in giro può essere serenamente attraversato in perizoma. È successo di nuovo, e questa volta il protagonista è un paio di mutande con il pelo. Sì, avete letto bene: mutande con il pelo. Finto, per carità. Ma ben piazzato, studiato, pettinato e soprattutto brandizzato.

Il nome, già di per sé, è un programma di marketing più che di lingerie: Faux Hair Micro String Thong. Traduzione libera: micro perizoma a stringa con finto pelo. Un capo lanciato da Skims, il marchio fondato da Kim Kardashian, che evidentemente ha deciso che, dopo aver modellato, contenuto, sollevato, compresso e impacchettato ogni centimetro del corpo femminile (e non solo), era arrivato il momento di restituire al mondo il pelo perduto. Anche se solo in versione sintetica, lavabile a mano e venduta in edizione limitata.

le mutande

Perché quando c’è Kim Kardashian di mezzo, nulla è casuale. Nulla è ingenuo. Nulla è davvero solo “una mutanda”. Kim non è semplicemente una celebrità: è un’industria ambulante, una stratega del desiderio, una che ha trasformato il proprio corpo in linguaggio economico e culturale. Prima il reality, poi i social, poi il beauty, lo shapewear, la moda. Ora anche il pelo pubico diventa un asset. Non naturale, però: faux, che suona più chic.

Il capo è minimalista fino all’ascetismo: pochi centimetri di tessuto, elastici sottilissimi, una copertura che copertura non è, e davanti una ciocca di pelo applicata con la cura di un gioiello. Riccio, liscio, più scuro, più chiaro. Inclusivo, dicono. Naturale, assicurano. Rivoluzionario, proclamano. Il tutto a un prezzo che oscilla tra i 30 e i 40 euro, perché la liberazione del corpo è sacrosanta, ma passa sempre dalla cassa.

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La narrazione ufficiale parla di body positivity, di accettazione di sé, di abbattimento dei tabù. Celebrare il corpo com’è, dicono. Un messaggio nobile, quasi commovente, se non fosse che per “normalizzare” il corpo si è sentito il bisogno di riprodurlo artificialmente e venderlo come accessorio fashion. Il corpo va bene così com’è, certo. Ma se è firmato Kardashian, ancora meglio.

E qui Kim Kardashian fa quello che le riesce meglio: intercetta un tema culturale – il ritorno alla naturalezza, il rifiuto degli standard estetici irrealistici, la fine dell’ossessione per la depilazione perfetta – e lo trasforma in prodotto. Non in dibattito. Non in scelta individuale. In oggetto da comprare. Perché la vera abilità di Kim non è scandalizzare, ma monetizzare lo scandalo.

Sui social, come da copione, esplode il dibattito. C’è chi applaude al coraggio, chi parla di genio del marketing, chi ride, chi si indigna, chi si chiede semplicemente perché. Perché mettere il pelo dove per anni l’industria della bellezza – la stessa industria di cui Kardashian è stata regina – ha fatto di tutto per eliminarlo? Perché venderlo come simbolo di libertà? Perché trasformare una scelta personale in una tendenza globale? La risposta è semplice e brutale: perché funziona.

Il perizoma con il pelo va sold out in poche ore, finisce in lista d’attesa, compare sui siti di rivendita a prezzi maggiorati. E mentre tutti discutono se sia una provocazione geniale o una gigantesca presa in giro, Skims incassa, Kim sorride e il sistema continua a girare. Ancora una volta.

Perché Kim Kardashian non impone mai davvero un’idea: la mette in vendita. E chi compra, in fondo, non compra solo una mutanda con il pelo. Compra l’illusione di partecipare a una rivoluzione estetica. Anche se è fatta di nylon, elastico e pelo finto.

Insomma, non è solo lingerie. È un manifesto. O, se vogliamo dirla senza filtri, l’ennesima prova che nel grande supermercato del femminismo pop tutto può diventare merce, purché sia abbastanza provocatorio da finire su Instagram e abbastanza innocuo da non cambiare nulla davvero. Anche il pelo. Purché sia falso. E firmato.

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