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Costume e Società
31 Dicembre 2025 - 16:18
Il tempo degli elementi. Il Calendario Pirelli 2026 sceglie il silenzio
Il Calendario Pirelli 2026 non arriva come un evento, ma come una presenza. Non chiede di essere celebrato, non pretende attenzione immediata. Si lascia scoprire lentamente, pagina dopo pagina, immagine dopo immagine, come se il tempo fosse una componente essenziale del progetto. È un calendario che non ha fretta, che rifiuta l’urgenza del contemporaneo e sceglie una strada più complessa: quella dell’ascolto.
Il concept, centrato sugli elementi — terra, acqua, aria, fuoco, luce, energia — non è un esercizio simbolico né un manifesto ambientale. È piuttosto un tentativo di tornare all’origine delle cose, a ciò che precede le narrazioni, le etichette, le sovrastrutture. Gli elementi non sono evocati, sono vissuti. Entrano in relazione con i corpi, li attraversano, li modificano. Non fanno da cornice, non abbelliscono. Stanno lì, come presenze primarie, inevitabili.
A guidare questo racconto visivo è Sølve Sundsbø, fotografo e regista norvegese tra i più influenti e riconoscibili della scena internazionale. Nato in Norvegia e formatosi a Londra, Sundsbø ha costruito negli anni un linguaggio personale, capace di unire sperimentazione tecnologica e profondissima attenzione all’umano. Ha lavorato per le più importanti riviste di moda — da Vogue a i-D, da W Magazine a Numéro — ma il suo lavoro ha sempre superato i confini della fotografia editoriale, muovendosi tra arte, cinema e installazione.
Sundsbø non fotografa mai per descrivere. Fotografa per evocare. Il suo sguardo non cerca la bellezza convenzionale, ma una forma di verità emotiva. Nei suoi lavori il corpo non è mai un oggetto, ma un territorio. Un luogo in cui si stratificano memoria, identità, fragilità, forza. Per questo la sua scelta come autore del Calendario Pirelli 2026 appare particolarmente coerente: Sundsbø è un artista che lavora per sottrazione, che lascia spazio al silenzio, che accetta l’imperfezione come parte integrante del racconto.
Le protagoniste del calendario non “interpretano” gli elementi. Li abitano. Isabella Rossellini appare come una figura radicata, quasi ancestrale, capace di restituire un senso profondo di continuità tra natura e cultura. Tilda Swinton è fuori dal tempo, sospesa, essenziale, come se il suo corpo fosse un’estensione della materia stessa. Venus Williams non esibisce la forza, la incarna: il suo corpo racconta disciplina, resistenza, trasformazione, senza bisogno di alcuna retorica sportiva.
Luisa Ranieri porta con sé una fisicità solida, concreta, lontana da qualsiasi costruzione artificiale. FKA twigs è movimento, tensione, fragilità che diventa energia. Gwendoline Christie sfida i confini della rappresentazione tradizionale del corpo femminile semplicemente esistendo dentro l’immagine, senza spiegazioni. Irina Shayk, Eva Herzigová, Du Juan, Adria Arjona, Susie Cave completano un insieme eterogeneo, mai forzato, in cui la diversità non è dichiarata, ma praticata.
In questo calendario non c’è narrazione lineare. Non c’è una storia da seguire, un percorso obbligato. Ogni immagine è autonoma e allo stesso tempo parte di un sistema coerente. Le location — tra New York, Londra e le campagne inglesi — non vengono mai riconoscibili, non diventano protagoniste. Sono luoghi neutri, quasi astratti, che contribuiscono a creare una sensazione di sospensione. Potrebbero essere ovunque. O in nessun luogo preciso.
La tecnologia, elemento centrale nel lavoro di Sundsbø, è presente ma non invasiva. Non diventa mai fine a se stessa. È uno strumento che serve a scavare, non a stupire. In un’epoca in cui l’immagine è spesso iperdefinita, sovraccarica, gridata, The Cal 2026 sceglie l’opposto: lascia zone d’ombra, margini di ambiguità, spazi di interpretazione. Non tutto è spiegato, non tutto è risolto. Ed è proprio in questo spazio aperto che il calendario respira.
Anche il tema dell’età, così spesso ridotto a slogan o a provocazione, emerge qui con naturalezza. La presenza di donne di età diverse non è una dichiarazione ideologica, ma un dato di realtà. Il tempo non è nascosto, non è corretto. È parte del corpo, della pelle, dello sguardo. E viene trattato con rispetto, senza compiacimento.

Il Calendario Pirelli 2026 non cerca consenso. Non vuole piacere a tutti. È un lavoro maturo, consapevole, che chiede al pubblico una sola cosa: rallentare. Guardare davvero. Accettare che un’immagine possa non dire tutto subito. In un sistema mediatico che consuma fotografie alla velocità di uno scroll, questo calendario sceglie la permanenza.
Non seduce, non scandalizza, non provoca. Rimane. E nel rimanere lascia una traccia sottile, quasi fisica. Come fanno le opere che non hanno bisogno di alzare la voce per essere ascoltate. Insomma, più che un calendario, The Cal 2026 è un tempo diverso. Un tempo che, oggi, sembra quasi rivoluzionario.
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