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La Cina tassa i preservativi per far nascere più bambini: davvero basta il 13% di IVA per cambiare la demografia?

Dal 1° gennaio 2026 stop all’esenzione IVA sui contraccettivi, mentre asili, nidi e agenzie matrimoniali restano agevolati. Una scelta simbolica del governo di Pechino che dice molto sulla nuova strategia pro-natalità, ma solleva dubbi su salute pubblica, libertà individuali ed efficacia reale.

La Cina tassa i preservativi per far nascere più bambini: davvero basta il 13% di IVA per cambiare la demografia?

La Cina tassa i preservativi per far nascere più bambini: davvero basta il 13% di IVA per cambiare la demografia?

In una farmacia di periferia a Pechino, un’addetta stacca con le dita l’etichetta “esente IVA” da una fila di confezioni di preservativi. «Da lunedì 1° gennaio 2026 sarà tutto al 13%», dice a un cliente che chiede se sia uno scherzo. Non lo è. La Cina ha deciso di togliere, dopo oltre trent’anni, l’esenzione fiscale sui contraccettivi, dai preservativi alla pillola, inserendo questi prodotti nel regime ordinario dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto). La scelta rientra nella nuova Legge sull’IVA, approvata dalla Commissione permanente dell’Assemblea nazionale del popolo il 25 dicembre 2024 ed efficace dal 1° gennaio 2026. Nello stesso pacchetto fiscale, il governo introduce incentivi ed esenzioni per i servizi legati alla cura dell’infanzia, all’assistenza agli anziani e perfino alle agenzie matrimoniali e ai siti di incontri, con l’obiettivo dichiarato di sostenere la natalità. Il messaggio è esplicito: rendere più conveniente avere figli, anche se questo comporta rendere un po’ più costoso evitarli.

Per comprendere il significato della misura bisogna guardare alla traiettoria storica delle politiche demografiche cinesi. Tra gli anni Ottanta e il 2010, la pianificazione familiare è stata una priorità di Stato, con restrizioni rigide sulle nascite. Oggi la direzione è opposta. La nuova normativa “normalizza” fiscalmente il consumo di contraccettivi, mentre riserva un trattamento di favore a tutto ciò che è associato alla formazione della famiglia. La legge codifica un sistema a tre aliquote, 13%, 9% e 6%, superando i regolamenti provvisori precedenti. Restano esenti dall’imposta i servizi forniti da nidi, asili, case di riposo e istituzioni per persone con disabilità. Nei materiali esplicativi compaiono anche le agenzie matrimoniali. Spariscono invece dall’elenco delle esenzioni i farmaci e dispositivi contraccettivi, che dal 2026 saranno tassati come la maggior parte dei beni di consumo.

L’impatto pratico è immediato e facile da capire: dal 1° gennaio 2026 un pacchetto di preservativi o una confezione di pillole contraccettive costerà il 13% in più per effetto dell’imposta. Sui social cinesi la reazione è stata rapida e ironica. Su Weibo, una delle principali piattaforme di microblogging del Paese, molti utenti hanno osservato che crescere un figlio costa infinitamente più di un preservativo, anche tassato. Altri hanno ricordato che, per anni, lo Stato ha punito le seconde gravidanze e ora chiede l’opposto, intervenendo però sul lato meno rilevante del bilancio familiare. Accanto all’ironia, sono emerse preoccupazioni concrete da parte di esperti di salute pubblica, che temono una riduzione dell’uso dei contraccettivi tra le fasce più fragili della popolazione, con un possibile aumento delle gravidanze indesiderate e delle IST (Infezioni Sessualmente Trasmissibili).

I dati demografici aiutano a contestualizzare la scelta. Nel 2024 le nascite in Cina sono state 9,54 milioni, con un tasso di natalità di 6,77 per mille, in aumento rispetto ai 9,02 milioni del 2023. Nello stesso anno, però, i decessi hanno raggiunto 10,93 milioni, superando le nascite per il terzo anno consecutivo. La popolazione complessiva è scesa a 1,408 miliardi, con un calo di 1,39 milioni di persone. Gli analisti leggono l’aumento delle nascite come un rimbalzo temporaneo, legato all’Anno del Drago nel calendario tradizionale e alla ripresa dei matrimoni dopo la pandemia, non come un’inversione strutturale della tendenza.

La strategia del governo combina incentivi economici, come sussidi e agevolazioni fiscali, con interventi di natura culturale e normativa volti a incoraggiare il matrimonio e la genitorialità. Il limite principale resta però economico. Secondo il think tank YuWa Population Research, crescere un figlio fino ai 18 anni costa in media l’equivalente di 6,3 volte il PIL pro capite (Prodotto Interno Lordo pro capite). Stime più recenti indicano una spesa di circa 680.000 yuan per accompagnare un figlio fino alla laurea triennale. La voce più pesante è l’istruzione, seguita dal costo dell’abitazione e dall’assistenza agli anziani della famiglia. In questo contesto, l’aumento di prezzo di un contraccettivo appare marginale rispetto alle decisioni di vita che le famiglie devono prendere.

Sul piano sanitario, la rimozione dell’esenzione fiscale solleva interrogativi rilevanti. In Cina, la grande maggioranza dei nuovi casi di HIV (Virus dell’Immunodeficienza Umana) è trasmessa per via sessuale. Fonti ufficiali e studi recenti indicano percentuali superiori al 90%, in molti casi oltre il 95%, con una prevalenza di trasmissione eterosessuale e un aumento significativo tra le persone con più di 50 anni. In province come Guangdong e Zhejiang, la quota di nuovi casi tra le fasce di età più avanzate è in crescita costante. Studi scientifici condotti a Wuhan hanno mostrato che nel 2023 le diagnosi tardive erano particolarmente frequenti tra gli over 60, spesso con trasmissione eterosessuale. Gli epidemiologi avvertono che anche un piccolo ostacolo economico all’accesso ai preservativi può tradursi in effetti indiretti, come diagnosi più tardive e maggiore diffusione delle IST.

Dal punto di vista fiscale, gli esperti parlano di una misura dal valore soprattutto simbolico. Il gettito aggiuntivo atteso è limitato. L’effetto principale è il segnale politico: favorire esplicitamente le attività legate alla formazione della famiglia e trattare come beni ordinari gli strumenti per evitarla. Una parte dell’impatto potrebbe essere assorbita dalla filiera commerciale, con produttori e rivenditori che comprimono i margini o ricorrono a promozioni, soprattutto sulle piattaforme di e-commerce. Resta però l’incertezza su quanto spazio le autorità concederanno a campagne promozionali esplicite, in un contesto culturale sempre più restrittivo sui contenuti sessuali online.

Nel dibattito pubblico emerge anche una dimensione legata alle libertà personali, in particolare a quelle delle donne. Molte lavoratrici segnalano che la maternità comporta ancora penalizzazioni di carriera e riduzione delle opportunità professionali. In questo scenario, incentivi una tantum o nidi leggermente meno costosi compensano solo in parte i costi strutturali. Per questo, tassare i contraccettivi viene percepito da una parte dell’opinione pubblica come un gesto simbolico che non affronta le cause profonde del calo delle nascite.

La nuova Legge sull’IVA rende esplicita una scelta di campo. I servizi per l’infanzia, l’assistenza agli anziani e le agenzie matrimoniali restano esenti, perché considerati funzionali alla costruzione della famiglia. I contraccettivi escono dal perimetro delle esenzioni storiche. È una decisione intenzionale, che riflette la volontà di spostare risorse e segnali nella stessa direzione. Ma sul terreno della salute sessuale, diversi esperti la giudicano controproducente. Con una quota così elevata di nuove infezioni HIV trasmesse per via sessuale e un aumento dei casi tra gli anziani, mantenere basso il costo delle protezioni è considerato un elemento chiave della prevenzione, insieme a campagne informative più inclusive, alla diffusione dei test rapidi e all’accesso alla profilassi post-esposizione (PEP, Profilassi Post-Esposizione).

popolazione

Nel giro di pochi anni, la Cina è passata da politiche restrittive sulle nascite a un insieme di misure pensate per incentivare matrimonio e genitorialità. La tassazione dei contraccettivi, pur modesta, è uno dei simboli più evidenti di questa inversione. Per alcuni è coerente con una strategia pro-famiglia. Per altri rischia di produrre pochi effetti sulla natalità e di avere conseguenze indesiderate sulla salute pubblica. L’entrata in vigore nel 2026 lascerà poco tempo per gli aggiustamenti. Intanto, la percezione diffusa resta la stessa: finché crescere un figlio continuerà a costare multipli del reddito medio, intervenire sul prezzo di un preservativo difficilmente cambierà le scelte fondamentali delle famiglie cinesi.

La popolazione sta diminuendo

Negli ultimi vent’anni la Cina ha attraversato una trasformazione demografica profonda, lenta all’inizio e poi sempre più evidente, fino a diventare uno dei nodi centrali del dibattito politico ed economico del Paese. Per molto tempo l’immagine è stata quella di una popolazione in crescita continua, enorme e apparentemente inesauribile. Oggi quella certezza non esiste più.

Nel 2005 la popolazione cinese contava circa 1,30 miliardi di abitanti. Erano gli anni in cui gli effetti della politica del figlio unico, introdotta alla fine degli anni Settanta, si facevano sentire soprattutto sul rallentamento delle nascite, ma non ancora sul numero complessivo degli abitanti. La struttura demografica era giovane a sufficienza da garantire ancora una crescita naturale positiva. Nei dieci anni successivi il Paese ha continuato ad aumentare di popolazione, seppure a un ritmo sempre più contenuto. Nel 2010 gli abitanti erano saliti a oltre 1,33 miliardi, nel 2015 a circa 1,38 miliardi.

Il punto massimo viene raggiunto intorno al 2020, quando la popolazione supera i 1,41 miliardi di persone. È un dato che coincide con il primo grande censimento dopo lo stop ufficiale alla politica del figlio unico, abolita nel 2015 e sostituita prima dalla possibilità di avere due figli e poi, dal 2021, da quella di averne tre. Ma proprio mentre le regole cambiano, il comportamento delle famiglie resta immutato. Le nascite continuano a scendere, segnalando che il problema non è più normativo ma economico e sociale.

Dal 2021 in avanti il rallentamento diventa evidente. Nel 2022 accade un fatto storico: per la prima volta dopo oltre sessant’anni, il numero dei decessi supera quello delle nascite. È l’inizio del declino demografico. Nel 2023 la popolazione diminuisce di oltre 2 milioni di persone. Nel 2024 il calo prosegue, seppur in misura leggermente inferiore: circa 1,39 milioni di abitanti in meno rispetto all’anno precedente. La popolazione totale scende così a 1,408 miliardi.

I numeri delle nascite spiegano bene il fenomeno. Nel 2024 i nuovi nati sono 9,54 milioni, in lieve aumento rispetto ai 9,02 milioni del 2023. È un rimbalzo che gli analisti collegano soprattutto a fattori contingenti, come l’Anno del Drago nel calendario tradizionale cinese, considerato di buon auspicio, e alla ripresa dei matrimoni dopo gli anni della pandemia. Ma nello stesso anno i decessi raggiungono 10,93 milioni, confermando una crescita naturale negativa. Il tasso di natalità si attesta a 6,77 per mille, mentre quello di mortalità sale a 7,76 per mille.

Dietro questi numeri c’è una trasformazione strutturale. La Cina sta invecchiando rapidamente. Le generazioni nate negli anni del boom demografico stanno entrando nella fascia anziana, mentre quelle più giovani sono sempre meno numerose. Il tasso di fecondità è ormai stabilmente ben al di sotto del livello di sostituzione, intorno a un figlio per donna, lontanissimo dal valore di 2,1 necessario a mantenere stabile la popolazione nel lungo periodo.

Le cause sono note e ampiamente documentate. Crescere un figlio in Cina è diventato estremamente costoso rispetto ai redditi medi. Secondo il think tank YuWa Population Research, portare un bambino fino ai 18 anni costa in media più di sei volte il PIL pro capite. Se si considera anche l’università, la spesa può arrivare a circa 680.000 yuan. A pesare sono soprattutto l’istruzione, il costo delle abitazioni nelle grandi città e l’assistenza agli anziani. A questo si aggiungono le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia, in particolare per le donne, che continuano a subire penalizzazioni professionali dopo la maternità.

Il risultato è che le politiche pro-natalità introdotte negli ultimi anni producono effetti limitati e temporanei. Incentivi, bonus e agevolazioni fiscali non riescono a invertire una tendenza che appare ormai strutturale. I dati degli ultimi vent’anni raccontano una storia chiara: prima una crescita lenta ma costante, poi una lunga fase di stagnazione e infine l’inizio di un declino demografico che, salvo cambiamenti radicali, accompagnerà la Cina per i prossimi decenni. Non si tratta più di un’ipotesi, ma di una realtà già scritta nelle statistiche ufficiali.

Fonti: Commissione permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, Legge sull’IVA della Repubblica Popolare Cinese, Ufficio nazionale di statistica della Cina, YuWa Population Research, Organizzazione Mondiale della Sanità, Centri cinesi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC Cina), studi accademici peer-reviewed su HIV e demografia in Cina, Weibo.

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