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Lo Stiletto di Clio
18 Dicembre 2025 - 06:51
Il filosofo Jean-Paul Sartre (1905-1980)
Ai venticinque lettori dello «Stiletto», poiché giovedì prossimo sarà Natale, desidero proporre una storia ispirata alla festa. Però non una storia qualsiasi, bensì uno dei più incantevoli ed evocativi racconti che siano mai germogliati dalla penna di uno scrittore. E, verrebbe da osservare, uno dei più politicamente scorretti, con buona pace degli instancabili zeloti in perenne agitazione per respingere il discorso pubblico non allineato al «mainstream», cioè al pensiero prevalente.
La vicenda si disvela subito nella sua cristallina semplicità, senza orpelli né artifici. Bariona è una sorta di sindaco del passato, il leader di un remoto paesello in quel di Palestina. L’autorità superiore gli impone d’inasprire la tassazione. Ah, la gioia di svuotare il borsellino per il fisco, come avrebbe sicuramente esclamato il ministro Tommaso Padoa-Schioppa di venerata memoria! Bariona vorrebbe resistere, ma poi si persuade che sia preferibile piegarsi. Tuttavia, quale estrema forma di rivolta contro un potere ritenuto iniquo e oppressivo, impone ai concittadini di nuocere allo Stato, rifiutandosi di avere figli.

La Natività, affresco del valsesiano Gaudenzio Ferrari nella chiesa di San Cristoforo a Vercelli

"Bariona o il figlio del tuono. Racconto di natale per cristiani e non credenti"
Sennonché, si sa, l’imprevisto è sempre in agguato, specie nell’intimità del talamo nuziale. La moglie Sara, infatti, gli comunica di attendere un bambino e di non essere affatto intenzionata a interrompere la gravidanza: «Quello che aspetto non l’ho scelto, lo aspetto. Lo amo in anticipo anche se fosse brutto, anche se fosse cieco […]. L’amo in anticipo questo bambino senza nome, senza viso, figlio mio». Ma Bariona si mostra irremovibile.
Perbacco! Sto scivolando su una china insidiosa e sconveniente. Spero di non irritare i paladini e le paladine (la precisazione è d’obbligo, volendo per lo meno evitare di apparire come un bieco sessista) del discorso inclusivo e «politically correct». Nell’attesa, lasciamo che la storia riprenda il proprio corso.
Sulle miserie umane cala finalmente la notte, una notte tutt’altro che ordinaria perché è la notte del 24 dicembre e l’avvolge un alone di speranze e presagi. I pastori riferiscono a Bariona che un bambino ha squarciato, «con il suo piccolo corpo bianco, le tenebre malefiche»: «che la terra frema di gioia, che tutte le isole si rallegrino!». Il capovillaggio reagisce assai male: «Tornate a casa, brava gente, e in futuro mostrate più buon senso. […] Questo mondo è una caduta interminabile, lo sapete bene. […] Guardate la vostra disgrazia in faccia, poiché la dignità dell’uomo è nella sua disperazione».
Ma gli abitanti del paesello non lo ascoltano e si mettono in cammino alla volta di Betlemme. Disobbedendo al marito, Sara si unisce a loro: «Ti amo, Bariona, ma capiscimi. Laggiù c’è una donna felice e soddisfatta, una madre che ha partorito per tutte le madri, ed è come un permesso che mi ha donato: il permesso di mettere al mondo il mio bambino. Voglio vederla, vederla, questa madre felice e sacra».
Furente, l’uomo decide di risolvere la faccenda a modo suo: andrà anche lui a Betlemme e strangolerà il neonato. In maniera imprevedibile quanto sorprendente, Baldassarre, uno dei magi, riesce farlo desistere dal malsano proposito: «Dio non può nulla contro la libertà dell’uomo, ed è vero. E allora, dunque? Una libertà nuova sta per innalzarsi verso il Cielo come una grande pila di bronzo, e tu avresti a cuore di impedire ciò? Il Cristo è nato per tutti i bambini del mondo, Bariona, e, ogni volta che un bambino sta per nascere, il Cristo nascerà in lui, eternamente per farsi schernire con lui da tutti i dolori e per sfuggire in lui e per lui da tutti i dolori eterni. Viene a dire ai ciechi, ai disoccupati, ai mutilati e ai prigionieri di guerra: non dovete astenervi dal far nascere bambini. Poiché persino per i ciechi e per i disoccupati e per i prigionieri di guerra e per i mutilati c’è della gioia».
Pervaso di luce interiore grazie al sereno e riflessivo Baldassarre, Bariona convince i propri uomini a seguirlo per fermare i soldati di Erode che si accingono a compiere ciò che egli stesso aveva avuto in mente. L’uomo ha piena coscienza di andare incontro alla morte, però è altresì consapevole di agire per una causa che riguarda la salvezza dell’umanità.
Chi è l’autore dell’originale testo letterario sul mistero del Natale? Uno dei tanti scrittorelli da sagrestia che emanano odore d’incenso da far venire il mal di testa? Niente affatto! Intitolata «Bariona o il figlio del tuono», l’opera porta la firma del francese Jean-Paul Sartre (1905-1980), il più noto esponente dell’esistenzialismo antireligioso e dichiaratamente ateo.
Possibile? Sì! Sartre scrisse «Bariona», un dramma natalizio «per cristiani e non credenti», nel 1940, mentre era prigioniero dei tedeschi a Treviri, dopo la disastrosa disfatta dell’esercito francese. Messa in scena per il Natale di quell’anno, la pièce raggiunge momenti di alta intensità poetica. Con grande partecipazione emotiva, lo stesso autore interpretò la parte di Baldassarre.
Nel 1962 il testo fu pubblicato in cinquecento copie fuori commercio con una nota chiarificatrice: «ciò non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata, fu un momento durante la cattività». Una seconda edizione, anch’essa non reperibile sul mercato, vide la luce cinque anni più tardi, benché quasi subito comparisse nelle librerie di Parigi. Al 1970, infine, risale l’edizione di Gallimard in «Les écrits de Sartre». Soltanto nel 2003, l’opera fu tradotta in italiano.
Della sua pièce di Natale e del ruolo che vi interpretò quando venne rappresentata a Treviri, il teorico dell’esistenzialismo ateo fu sempre fiero. Così risulta dalla corrispondenza con Simone de Beauvoir, la filosofa e scrittrice femminista che condivise con lui la vita sentimentale, nonostante le molte altre relazioni di entrambi.
La domanda chiave si pone da sé. Esiste un nesso fra il dramma natalizio e la visione laica di Sartre, assolutamente priva di richiami trascendenti e incentrata sulla libertà radicale e la responsabilità esclusiva delle scelte umane? La faccenda è complessa. In sintesi, si può notare che il filosofo prestò sempre una grande attenzione per la religiosità cristiana. In termini differenti, fu sempre ossessionato da Dio. A suo giudizio, tuttavia, la fede non è che un’illusione: unico e assoluto, l’uomo vive nella solitudine.
In tale ambito, il confronto col danese Søren Kierkegaard (1813-1855), il padre dell’esistenzialismo cristiano, appare ineludibile. Anche per lui, la vita risulta segnata dall’angoscia e dalla disperazione: l’unica possibilità di superarle risiede nella fede, la quale non si fonda sulla ragione ma la supera, configurandosi come un atto radicale e scandaloso. Partendo dal presupposto che Dio non esiste, invece, Sartre ritiene che l’uomo sia condannato a essere libero e debba inventarsi i propri valori.
Con «Bariona», il filosofo francese volle accostarsi alla dimensione religiosa della vita, non certo per approdare a esiti mistici, bensì per mettere in scena la tensione tra la fede e la libertà. Nel volto della Vergine si riflette la vertigine dell’umano che accoglie il divino. Ed è un’immagine di straordinaria bellezza perché la maternità si trasfigura nel mistero dell’assoluto.
«La Vergine – scrive Sartre – è pallida e guarda il bambino […]. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! […] Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi, e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive”».
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