Cerca

Attualità

Imam Shahin, la piazza si ribella: da Torino a Roma la protesta contro l’espulsione

Migliaia in corteo per chiedere la liberazione di Mohamed Shahin, trattenuto nel Cpr di Caltanissetta. Per i manifestanti è persecuzione politica, per il Viminale una misura di sicurezza nazionale

Imam Shahin, la piazza si ribella: da Torino a Roma la protesta contro l’espulsione

Imam Shahin, la piazza si ribella: da Torino a Roma la protesta contro l’espulsione

Da Torino a Roma la mobilitazione dei gruppi pro Palestina torna a riempire le piazze e lo fa con un obiettivo preciso: chiedere la liberazione dell’imam torinese Mohamed Shahin, cittadino egiziano di 43 anni, in Italia da oltre vent’anni, attualmente trattenuto nel Cpr di Caltanissetta dopo la notifica di un decreto di espulsione per motivi di ordine e sicurezza pubblica. Una decisione che i manifestanti respingono con forza, definendola una misura politica e non di sicurezza, e che inseriscono in un quadro più ampio di quella che viene denunciata come una repressione delle voci solidali con la causa palestinese.

Nel mirino dei cortei, infatti, non c’è soltanto il caso Shahin. Insieme al suo nome vengono scanditi quelli di Anan Yaeesh, Ali, Mansour, Tarek, Ahmad Salem, persone accomunate – secondo i promotori delle proteste – dall’aver espresso posizioni radicali a sostegno della Palestina e per questo considerate “esempi evidenti di persecuzione politica”. Un messaggio ribadito più volte durante le manifestazioni, che da giorni attraversano diverse città italiane.



A Torino, nel pomeriggio, circa un migliaio di persone ha preso parte al corteo che ha attraversato le vie del centro. Ma la mobilitazione era iniziata già in mattinata, quando una decina di antagonisti vicini all’area anarchica ha affisso striscioni all’esterno del Museo Egizio e distribuito volantini con richieste nette: “stop alla deportazione” e libertà per l’imam. “Chi lotta per la Palestina lotta per la libertà”, recitava uno degli striscioni. “Stop deportazioni, Shahin libero, liberi tutti”, la scritta comparsa su un altro lenzuolo bianco, diventato subito uno dei simboli della giornata.

Nel pomeriggio il corteo è partito da largo Marconi, aperto da uno striscione con la scritta “Free Shahin, nobody should be deported for supporting Palestine”. Subito dietro, portata a spalla da quattro attivisti, una bara artigianale su cui campeggiava la scritta Libertà di espressione, scelta volutamente provocatoria per denunciare – secondo gli organizzatori – il rischio di criminalizzazione del dissenso politico. Al microfono, gli attivisti del collettivo Torino per Gaza hanno ribadito le ragioni della protesta: “Siamo qui perché un nostro compagno, un nostro fratello, un uomo innocente è rinchiuso in un Cpr. Mohamed ha camminato con noi per anni nelle strade per chiedere una Palestina libera. In oltre vent’anni vissuti qui ha dimostrato cosa significa solidarietà, stare sempre dalla parte degli ultimi. Tutta la città ha detto con chiarezza che rivuole Mohamed, perché per noi è un pilastro. Viene punito per aver scelto di non girarsi dall’altra parte”.

Il corteo si è svolto senza tensioni ed è arrivato in piazza Castello, mescolandosi con i torinesi impegnati nello shopping natalizio. Lungo il percorso, più volte, i manifestanti hanno insistito sul fatto che l’imam stia pagando il prezzo di “aver detto cose scomode”, chiedendo un intervento diretto di Regione Piemonte e Comune di Torino per ottenerne la liberazione e il rientro in città.

Di segno opposto la posizione del Viminale. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervenendo sulla vicenda, ha chiarito che “non c’entra il fatto di essere un imam e non c’entra l’islam”. A motivare il provvedimento, ha spiegato, sarebbero “alcune frequentazioni e alcuni comportamenti che per motivi di sicurezza nazionale hanno indotto l’autorità ad assoggettarlo a quel provvedimento”. Nel suo intervento ad Atreju, Piantedosi ha aggiunto che Shahin“sta bene, è ristretto in un Cpr italiano a Caltanissetta in condizione di legittima privazione della libertà personale, che ha resistito ai primi ricorsi che l’interessato ha legittimamente proposto. Dopodiché sta benissimo”.

Due narrazioni opposte che continuano a scontrarsi: da una parte chi parla di sicurezza nazionale e atti dovuti, dall’altra chi denuncia un caso emblematico di repressione politica. Nel mezzo, una mobilitazione che promette di non fermarsi e che, almeno per ora, continua a portare in piazza migliaia di persone convinte che la vicenda di Mohamed Shahin non sia solo un caso individuale, ma un segnale politico che riguarda tutti.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori