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Concerto di Marracash vietato a chi è in carrozzina: il caso Bonelli è una vergogna

All’Unipol Forum di Milano Edoardo Bonelli, 28 anni, denuncia l’esclusione dall’area Vip del concerto di Marracash: “Voglio pagare e scegliere come tutti. L’accessibilità non è un favore”

Concerto di Marracash vietato a chi è in carrozzina: il caso Bonelli è una vergogna

Concerto di Marracash vietato a chi è in carrozzina: il caso Bonelli è una vergogna

Un click dovrebbe bastare. Un biglietto acquistato, l’attesa di un concerto, la musica che sta per iniziare. E invece, per Edoardo Bonelli, 28 anni, torinese, quel gesto semplice diventa l’inizio di una storia che racconta molto più di una serata andata storta. Racconta cosa succede, ancora oggi, quando una persona in sedia a rotelle prova ad andare a un concerto.

A dirlo non sono interpretazioni o ricostruzioni: lo dice lui stesso, nero su bianco, sui social. “Ecco cosa succede quando una persona in sedia a rotelle prova ad andare a un concerto”. È l’incipit di un racconto che non cerca clamore, ma verità. E che finisce per aprire una domanda che pesa come un macigno: “sarò accettato?”

 

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È martedì sera. Siamo all’Unipol Forum di Milano, uno dei palazzetti più importanti d’Italia. Bonelli ha acquistato regolarmente un biglietto per la Sky Box, l’area Vip. Non un favore, non un invito, ma un ticket pagato come quello di chiunque altro. Arriva all’ingresso convinto di vivere il concerto come tutti gli altri spettatori. Ma prima ancora che inizi la musica, arriva lo stop.

“Ieri all’Unipol Forum mi è stato impedito l’accesso alla Sky Box che avevo regolarmente acquistato, perché ‘le persone in carrozzina non sono ben accette’ nell’area VIP”, scrive.

Una frase che da sola basterebbe a fermare tutto. Non per un problema tecnico improvviso, non per un’emergenza, ma per barriere architettoniche presenti proprio nello spazio per cui aveva pagato.

Da lì nasce un confronto lungo, estenuante. “Dopo oltre mezz’ora di discussione e persino la minaccia di chiamare polizia e vigili del fuoco”, racconta Bonelli, “ho dovuto superare la sicurezza da solo per entrare”. Parole che restituiscono il clima di quella sera: non una semplice incomprensione, ma una battaglia per esercitare un diritto elementare. Entrare. Stare. Partecipare.

Il punto, però, non è solo ciò che accade all’Unipol Forum. È quello che quel episodio rappresenta. “E il problema è molto più grande”, scrive ancora, “episodi simili accadono in tutta Italia, denunciati da tantissime persone con disabilità”. Non casi isolati, non eccezioni. Una normalità storta che si ripete, sempre uguale, sempre con la stessa domanda che ritorna. “Ogni volta, la stessa domanda assurda: ‘sarò accettato?’”

Una domanda che, sottolinea Bonelli, “non dovrebbe esistere”. Soprattutto oggi. Soprattutto nel 2025.

Il cuore della sua denuncia non è la mancanza di un posto, ma il modo in cui l’accessibilità viene ancora concepita. “Sono stufo di essere rinchiuso nelle aree per disabili”, scrive, “dove è permesso portare un solo accompagnatore e dove ti danno il contentino dei biglietti scontati o gratuiti”. Non è una richiesta di trattamento speciale. È l’esatto contrario.

“Io voglio pagare il biglietto come chiunque altro”, afferma. “Voglio scegliere dove stare, come vedere il concerto, come vivere l’evento. Esattamente come fanno tutti gli altri.” È qui che la questione smette di essere individuale e diventa collettiva. Perché non si parla di assistenza, ma di libertà di scelta. Di pari dignità. Di esperienza condivisa.

Nel suo racconto emerge con chiarezza un punto che spesso viene rimosso. “La gestione di una sedia a rotelle non è un problema della persona disabile”, scrive Bonelli, “è un dovere di chi organizza, di chi accoglie, di chi vende i biglietti”. Non è una questione di buona volontà, ma di responsabilità. Di progettazione. Di informazione chiara già al momento dell’acquisto.

Un concerto non è solo intrattenimento. È una promessa di partecipazione, di comunità, di presenza. Quando quella promessa non vale per tutti allo stesso modo, qualcosa si rompe. E non basta offrire un’alternativa “dedicata” per sanare la frattura. Perché l’inclusione non è essere spostati altrove: è poter stare dove si è scelto di stare.

"Siamo nel 2025. Non dovrebbe più succedere", scrive Edoardo Bonelli. E se invece succede ancora, se continua a essere raccontato come un “caso”, allora significa che quella domanda iniziale è ancora lì. Aperta. Irresolta. E riguarda tutti. Perché una società si misura anche da quanto rende semplice, o difficile, un gesto che dovrebbe essere banale: comprare un biglietto, entrare, ascoltare musica, esserci.

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