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14 Dicembre 2025 - 07:50
Radu Marinescu
La sera del 12 dicembre 2025, piazza della Vittoria a Bucarest è illuminata dalle luminarie natalizie. Tra le luci compaiono però cartelli scritti a mano, con messaggi diretti: “Giustizia, non impunità”, “Integrità, non complicità”. Davanti al palazzo del governo si ritrova in poche ore una folla composita fatta di studenti, pensionati, lavoratori, famiglie. Le richieste sono chiare: nuove leggi credibili sulla magistratura e le dimissioni del ministro della Giustizia Radu Marinescu e del ministro dell’Interno Cătălin Predoiu. È la terza sera consecutiva di mobilitazione in un Paese che ricorda le grandi proteste del 2017, ma che oggi mostra un clima diverso, meno emotivo e più determinato. L’innesco non è una decisione parlamentare, ma un’inchiesta giornalistica che riporta la giustizia al centro del dibattito pubblico.
Tutto nasce da “Justice Captured” (Justiție Capturată), il video-documentario dell’emittente indipendente Recorder. Due ore di ricostruzione dettagliata su come interessi politici e dinamiche interne alla magistratura avrebbero inciso sull’esito di procedimenti giudiziari rilevanti, rallentandoli fino alla prescrizione. Pubblicato su YouTube, il video supera le 600 mila visualizzazioni in meno di 16 ore e oltrepassa i 3,2 milioni in due giorni e mezzo. Il passaggio decisivo arriva con la messa in onda in prima serata sulla televisione pubblica TVR 1 (Televiziunea Română 1), che modifica il palinsesto per trasmettere l’inchiesta. L’audience raggiunge un picco di 382 mila telespettatori, con una media di 305 mila tra le 21 e le 23, uno dei risultati più alti dell’anno per l’emittente, superato solo dal confronto televisivo delle presidenziali dell’aprile 2025.
La diffusione su un canale generalista amplia il pubblico oltre gli addetti ai lavori. Il giorno successivo le proteste crescono e si estendono anche ad altre città. Le richieste diventano esplicite: oltre alle dimissioni di Radu Marinescu e Cătălin Predoiu, vengono chiamati in causa la presidente dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia Lia Savonea e il procuratore capo della DNA Marius Voineag. Gli slogan riportati dai media locali restituiscono il senso della frattura: “Magistrati indipendenti, non obbedienti”, “Vogliamo giustizia, non immunità”.

Cătălin Predoiu
L’inchiesta di Recorder individua tre snodi centrali: la DNA (Direcția Națională Anticorupție, Direzione nazionale anticorruzione), la Corte d’Appello di Bucarest (CAB) e il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Secondo le testimonianze raccolte, alcune rese in anonimato per timore di ritorsioni, pressioni interne, cambi mirati dei collegi giudicanti e trasferimenti temporanei avrebbero prodotto rinvii sistematici, fino a consentire la prescrizione di casi di alto profilo. Tra questi, quello dell’ex sindaco socialdemocratico Marian Vanghelie, accusato di aver incassato 30 milioni di euro in tangenti tra il 2007 e il 2014. Indagato dal 2015, ha visto i primi capi d’accusa prescriversi nel 2017 e gli ultimi alla fine del 2024, anche a causa di continui avvicendamenti dei giudici. Un esempio concreto di come la gestione del tempo processuale possa incidere sull’esito dei procedimenti penali.
Nel racconto emerge con frequenza il nome di Lia Savonea, oggi alla guida della Corte Suprema e componente del CSM. Nell’inchiesta viene descritta come figura vicina ai partiti di governo e indicata, da alcuni testimoni, come centrale nelle decisioni su assegnazioni e composizione dei collegi nei casi più sensibili. I manifestanti espongono la sua immagine sui cartelli. Non è l’unico bersaglio della protesta. Radu Marinescu, avvocato in passato di amministratori locali coinvolti in inchieste anticorruzione, e Cătălin Predoiu, già più volte ministro della Giustizia prima di assumere l’Interno, vengono indicati come riferimenti politici di un sistema percepito come opaco.
Le reazioni istituzionali arrivano rapidamente. La Corte d’Appello di Bucarest convoca una conferenza stampa straordinaria per contestare l’inchiesta. Durante l’incontro, però, una giudice interviene pubblicamente confermando diversi passaggi del documentario e descrivendo un clima interno definito “tossico”, con magistrati intimoriti dalla gerarchia. Un intervento che mette in evidenza una spaccatura interna. Il CSM, attraverso la sezione giudici, parla di una campagna di delegittimazione dell’autorità giudiziaria, ma annuncia l’attivazione dell’Ispettorato Giudiziario per verifiche. Una presa di posizione che, pur difensiva, riconosce la necessità di accertamenti.
La questione arriva ai vertici dello Stato. Il presidente Nicușor Dan, ex sindaco di Bucarest, dichiara di aver visionato integralmente l’inchiesta e invita giudici e procuratori a contattarlo direttamente. Annuncia consultazioni con la magistratura il 22 dicembre, con l’obiettivo di raccogliere segnalazioni documentate e redigere un rapporto sulle criticità del sistema. Il governo guidato dal premier Ilie Bolojan promette verifiche, mentre Radu Marinescuribadisce il principio di indipendenza della magistratura. Parallelamente, una lettera aperta firmata da centinaia di giudici e procuratori, oltre 500 secondo alcune agenzie e 700 secondo la stampa francese, parla di disfunzioni profonde e sistemiche e chiede protezione per chi segnala irregolarità.
La Romania ha costruito parte della propria credibilità europea sulla lotta alla corruzione. L’ingresso nell’Unione europea (UE) nel 2007 è stato accompagnato dal Meccanismo di cooperazione e verifica, chiuso nel 2023. Da allora, osservatori indipendenti e organizzazioni civiche segnalano un rallentamento dell’azione anticorruzione. Nell’Indice di Percezione della Corruzione 2024 (CPI) di Transparency International, il Paese occupa il 65° posto su 180, con un punteggio di 46 su 100, tra i più bassi dell’UE. Il confronto con le proteste del 2017 è inevitabile, ma il contesto del 2025 è segnato da tensioni politiche, un anno elettorale complesso e difficoltà economiche legate a inflazione e deficit.
In piazza, il messaggio resta coerente: non un attacco generalizzato alla magistratura, ma una richiesta di responsabilità e trasparenza. Le istituzioni difendono le procedure esistenti, sottolineando che assegnazioni e trasferimenti sono soggetti a controllo e impugnazione. Allo stesso tempo, le ammissioni provenienti dall’interno dello stesso sistema giudiziario rendono difficile archiviare la vicenda come semplice polemica. Due narrazioni si scontrano apertamente, e la politica è chiamata a scegliere se limitarsi a gestire l’emergenza o intervenire sulle regole.
La scelta della TVR di trasmettere l’inchiesta rappresenta un passaggio rilevante. In un panorama mediatico polarizzato, in cui alcuni canali privati hanno criticato duramente il lavoro di Recorder, il servizio pubblico ha garantito l’accesso a un’informazione di interesse generale su un tema centrale per la democrazia. I dati di ascolto mostrano anche un coinvolgimento di fasce di pubblico solitamente lontane dalla televisione tradizionale.
Le settimane che precedono il 22 dicembre saranno decisive. Il governo Bolojan e il ministero della Giustizia dovranno dimostrare se le promesse di verifica si tradurranno in interventi concreti. La posta in gioco non riguarda solo singole responsabilità, ma la fiducia in un sistema che, secondo gli indicatori internazionali, mostra segnali di indebolimento. Le proteste non hanno le dimensioni di quelle di otto anni fa, ma combinano tre elementi difficili da ignorare: un’inchiesta documentata, divisioni interne alla magistratura e attenzione internazionale.
Quello che emerge da Bucarest è un passaggio delicato. Un’inchiesta giornalistica ha riportato alla luce meccanismi che per anni sono rimasti confinati a dossier tecnici e discussioni specialistiche. Ora la questione è pubblica e politica. Le prossime decisioni diranno se si tratta dell’inizio di una fase di riforma o dell’ennesima occasione persa. La piazza, per ora, resta.
Fonti utilizzate: Recorder, TVR 1 (Televiziunea Română 1), Transparency International, Indice di Percezione della Corruzione 2024, dichiarazioni ufficiali della Corte d’Appello di Bucarest, comunicati del Consiglio Superiore della Magistratura, interventi pubblici del presidente Nicușor Dan, agenzie di stampa romene e internazionali.
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