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13 Dicembre 2025 - 09:00
Figlio e papà
Il vino non è mai solo una bevanda. È memoria liquida, racconto di una terra, somma di gesti ripetuti per generazioni. È cultura che si travasa di padre in figlio, è identità che resiste al tempo. È da questa consapevolezza profonda che nasce e continua a vivere la storia della Cantina Orsolani, un nome che in Canavese non indica semplicemente un’azienda, ma una vera istituzione. Centotrentuno anni di lavoro, di scelte spesso controcorrente, di fedeltà assoluta a un vitigno tanto delicato quanto nobile: l’Erbaluce di Caluso. Oggi a custodire questo patrimonio c’è Gianluigi Orsolani, 60 anni, quarta generazione di una famiglia che ha intrecciato il proprio destino a quello della vite.
La storia comincia nel 1894, a San Giorgio Canavese, in un territorio allora strategico, crocevia naturale tra la montagna e il mercato di Chivasso. I bisnonni di Gianluigi rientrano dagli Stati Uniti dopo anni di lavoro duro, portandosi dietro un bagaglio di sacrifici e competenze. Aprono la Locanda Aurora: lei, forte dell’esperienza maturata cucinando per i minatori in America, governa la cucina; lui, quasi in silenzio, inizia a vinificare. È un vino semplice, artigianale, ma conquista subito chi lo assaggia. Tanto da spingere, negli anni Venti, la famiglia a una scelta radicale: chiudere la locanda e dedicarsi esclusivamente alla viticoltura.
Il lavoro nei campi passa al pro-zio, mentre la vita del nonno di Gianluigi prende una strada diversa. La Grande Guerra lo chiama al fronte. Combatte sul Grappa con l’artiglieria alpina, raggiunge il grado di Capitano. Finita la guerra, Venezia diventa la sua nuova casa, lì incontra la donna che diventerà sua moglie. Ma la Storia, quella con la S maiuscola, torna a bussare. Con la nascita della Repubblica sceglie di lasciare l’Esercito per fedeltà alla Monarchia. Diventa direttore delle Poste di Venezia. Una vita ordinata, istituzionale. Fino a quando il fratello lo richiama a Caluso, tra le vigne. È un ritorno alle origini, definitivo. Resterà lì fino alla metà degli anni Sessanta, attraversando anche i tempi bui delle guerre, quando il vino si distribuiva con le tessere, come un bene di prima necessità.
Negli anni Sessanta il baricentro dell’azienda si sposta nuovamente a San Giorgio. È il padre di Gianluigi Orsolani a costruire la cantina moderna, pensata per la produzione e l’imbottigliamento. Ma il vero spartiacque arriva nel 1968, quando la Cantina Orsolani produce il primo Spumante Metodo Classico da Erbaluce. Una scommessa audace, quasi visionaria, che anticipa di decenni il dibattito attuale sulle bollicine di territorio.
Negli anni Ottanta, con Gianluigi Orsolani alla guida, l’azienda cambia passo. Diventa una realtà agricola sempre più focalizzata sull’Erbaluce, privilegiando le uve dei propri vigneti e riducendo al minimo gli acquisti esterni. È una scelta identitaria prima ancora che economica. Arrivano tappe decisive: nel 1985 nasce la selezione Rutia, frutto delle migliori uve; nel 1988 arriva la DOCG anche per lo spumante, al termine di quasi vent’anni di studi e sperimentazioni; nel 1995 viene perfezionato il metodo produttivo del Passito, oggi fiore all’occhiello della cantina.
I riconoscimenti non tardano. Il Passito Orsolani viene candidato per tre volte come miglior vino dolce italiano. La Rutia colleziona premi e conferme nelle principali guide di settore. Lo Spumante cresce, anno dopo anno, conquistando spazio e credibilità, dimostrando che l’Erbaluce non è solo un grande bianco, ma anche una bollicina gastronomica di straordinaria finezza.
«Per conquistare i giovani bisogna tornare a ciò che il vino è davvero: un compagno piacevole a tavola, senza rovinarti la vita», riflette Gianluigi Orsolani. «L’abuso è sempre sbagliato. Bisogna riscoprire il piacere come lusso, non come eccesso. E rivalutare il vino rispetto ai superalcolici». Lo sguardo è rivolto al futuro, con una convinzione chiara: «Sono certo che l’Erbaluce Metodo Classico avrà sempre più spazio. Accanto agli spumanti ormai affermati, ci sarà anche lui, riconosciuto dalla critica e dal consumo».

Il proprietario con i suoi vini
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Lo spumante Erbaluce

Il valore di Orsolani Vini
Per crescere, però, non basta la qualità. Serve una visione più ampia. Orsolani parla di diversificazione verticale: degustazioni, accoglienza, esperienze, cene a tema. Ma soprattutto indica il vero nodo irrisolto del territorio: la difficoltà a fare sistema. «Ci frenano invidia, timidezza, disinteresse, scarsa conoscenza», dice senza giri di parole. «Dobbiamo uscire dai confini locali. Nessuno verrà a cercarci se non siamo noi i primi a raccontarci e a valorizzarci».
Il quadro dei consumi, intanto, è impietoso. Dai 120 litri pro capite degli anni Sessanta si è scesi sotto i 30. «I giovani fanno fatica a scegliere», analizza Orsolani. «I prezzi, gli stili di vita cambiati, l’attenzione giusta ma rigida su guida e lavoro, tutto incide». E poi c’è la comunicazione. «Troppo spesso il vino viene raccontato in modo pomposo, ridondante. I giovani chiedono semplicità, chiarezza, un linguaggio sensoriale e meno aulico».
Netta anche la posizione sui prodotti analcolici. Per Orsolani, la dealcolizzazione può avere senso solo in logiche industriali. «L’agricoltura di qualità, quella collinare, non può inseguire queste strade. La birra ha regole diverse. Il vino no. La viticoltura di quantità può farlo, quella di identità no».
Oggi la Cantina Orsolani, forte di 131 anni di storia, non si limita a produrre vini eccellenti. Indica una direzione. L’Erbaluce di Caluso diventa simbolo di un lusso consapevole, misurato, profondamente legato alla terra. Un vino che non urla, ma racconta. Che non rincorre mode, ma costruisce futuro. Perché il vero valore del vino, come insegna questa storia lunga più di un secolo, sta nell’equilibrio, nella qualità senza compromessi e nell’orgoglio di un territorio che finalmente non ha paura di farsi conoscere.
Per chi fosse interessato Orsolani Vini su Facebook e Instagram, oltre al sito https://www.orsolani.com/
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