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750 euro al mese e un treno per Torino. Non è un trasferimento, è un licenziamento mascherato

Lavoratrici e lavoratori Konecta di Ivrea scrivono alle istituzioni e al Canavese: stipendi bassi, part time e costi di viaggio rendono il trasferimento a Torino impossibile. “Così ci state lasciando a casa”

750 euro al mese e un treno per Torino. Non è un trasferimento, è un licenziamento mascherato

750 euro al mese e un treno per Torino. Non è un trasferimento, è un licenziamento mascherato

L’appello non arriva da un partito, né da un sindacato, né da un palazzo istituzionale. Arriva direttamente dalle lavoratrici e dai lavoratori Konecta di Ivrea, che scelgono di parlare ai cittadini e alle Istituzioni con una lettera aperta che è insieme denuncia e richiesta di aiuto. Una presa di parola netta, che nasce dalla consapevolezza che la decisione annunciata dall’azienda rischia di avere effetti irreversibili su persone, famiglie e territorio.

Nella lettera, i dipendenti ricordano come Konecta SpA, multinazionale con sede in Spagna, abbia comunicato l’intenzione di procedere, a partire da giugno 2026, con l’accorpamento delle sedi piemontesi di Asti, Ivrea e Torino in un’unica sede nel capoluogo. Una scelta che, per Ivrea e Asti, equivale a una chiusura definitiva. «Un vero terremoto economico, occupazionale, sociale e personale», scrivono, che coinvolge oltre mille famiglie e che colpisce due territori già duramente segnati da anni di progressiva desertificazione industriale.

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L’appello mette subito in chiaro un punto spesso rimosso dal dibattito: le sedi Konecta di Ivrea e Asti non sono realtà marginali, ma rappresentano uno dei principali, se non il principale, insediamento industriale per numero di addetti. Perdere queste sedi significa impoverire strutturalmente il territorio, non solo in termini occupazionali ma anche sociali ed economici.

S'aggiunge il racconto della condizione concreta dei lavoratori, lontana anni luce dalle astrazioni dei piani industriali. Molti dipendenti hanno contratti part time e stipendi bassi. «Un part time terzo livello a quattro ore porta a casa un salario che si aggira sui 750 euro, 1.100 un tempo pieno». In questo quadro, spiegano, i costi del trasferimento e i tempi di percorrenza verso Torino renderebbero il lavoro semplicemente impraticabile. Non si tratta di disagio, ma di impossibilità materiale di conciliare lavoro e vita.

«In parole povere, ma estremamente chiare e concrete, questi “trasferimenti” significano in concreto lasciare a casa le persone». Una chiusura che non passa dai licenziamenti formali, ma da una pressione economica e organizzativa tale da spingere molti lavoratori a rinunciare.

I dipendenti chiariscono di non ignorare le difficoltà del settore, ma rifiutano l’idea che i costi economici e sociali possano essere scaricati esclusivamente su lavoratrici, lavoratori e territori. La chiusura della sede di Palazzo Uffici di Ivrea, sottolineano, non è legata a problemi logistici o di spazio. Al contrario, «paradossalmente ci sarebbe posto anche per gli altri colleghi Konecta di tutto il Piemonte». La decisione è quindi strategica, non tecnica.

Una strategia che nella lettera viene definita esplicitamente miope e che porta con sé un’accusa precisa: «una strategia di marginalizzazione dei territori lontani dai capoluoghi regionali». Un modello che non colpisce solo i dipendenti diretti, ma che rischia di travolgere l’indotto – pulizie, guardiania, servizi – e l’intero tessuto economico locale. Meno lavoro significa meno reddito, meno potere d’acquisto, meno spesa nei negozi e nei servizi del territorio. Lavorare a Torino anziché a Ivrea, spiegano, significa spostare nel capoluogo una parte consistente delle spese quotidiane, con ricadute pesanti anche sul commercio canavesano.

Per questo l’appello non si limita a denunciare, ma chiama in causa istituzioni, associazioni, operatori economici e cittadini, chiedendo un sostegno concreto. «Perdere la sede Konecta di Ivrea sarebbe una sconfitta, morale ed economica, per tutto il territorio», scrivono, chiarendo che non è in gioco solo il destino di un’azienda, ma quello di una comunità intera.

La questione è approdata anche in Regione Piemonte, dove i consiglieri Alberto Avetta e Fabio Isnardi hanno presentato un’interrogazione urgente chiedendo se e come la Giunta intenda affrontare le conseguenze del piano industriale annunciato da Konecta e se esistano spazi di confronto con la proprietà. 

Sul piano nazionale, infine, è intervenuto il deputato della Lega Giglio Vigna, con un’interrogazione ai ministeri delle Imprese e del Lavoro. Giglio Vigna parla di una scelta “inaccettabile e miope” e sottolinea come l’azienda non abbia messo sul tavolo alternative concrete, né una riorganizzazione su più sedi, né un utilizzo strutturale dello smart working, né percorsi di riconversione. Anche in questo caso, il richiamo è alla realtà segnalata dagli stessi lavoratori.

Ma prima delle interrogazioni e delle prese di posizione politiche, resta la forza di un documento che nasce dal basso. L’appello delle lavoratrici e dei lavoratori Konecta di Ivrea non chiede favori né scorciatoie. Chiede che una decisione industriale venga misurata sulle vite reali delle persone e sul futuro di un territorio che rischia, ancora una volta, di essere lasciato indietro.

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