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12 Dicembre 2025 - 07:45
7 Ottobre, il dossier che accusa: crimini contro l’umanità. Ecco cosa dice davvero Amnesty
All’ingresso di Kibbutz Be’eri la strada è stata riasfaltata, ma sono le targhe con i nomi delle vittime a scandire il tempo reale trascorso: poco. Una serie di date incise nel metallo che il nuovo rapporto di Amnesty Internationalrichiama all’essenziale, definendo il 7 ottobre 2023 un’azione “diretta contro la popolazione civile” e, per questo, un crimine contro l’umanità oltre che un crimine di guerra. Non c’è alcuna rivelazione, bensì una ricostruzione minuziosa che, l’11 dicembre 2025, mette ordine a due anni di testimonianze, analisi forensi, video e indagini emerse a più riprese.
Il rapporto, pubblicato l’11 dicembre 2025 come sintesi estesa di lavori investigativi già diffusi, attribuisce a Hamas e ad altri gruppi armati palestinesi la responsabilità di una sequenza di violazioni gravi: omicidi di civili, esecuzioni a bruciapelo, rapimenti di massa, tortura, violenza sessuale, trattamenti inumani e degradanti, oltre ad attacchi indiscriminati con razzi in zone abitate. La tesi centrale è che queste condotte costituiscano un’“offensiva sistematica e su vasta scala” contro civili, condizione che definisce i crimini contro l’umanità secondo il diritto internazionale. L’assalto provocò in Israele oltre 1.200 morti e il rapimento di 251 persone, trascinate a Gaza come ostaggi. Amnesty International basa le sue conclusioni su interviste a sopravvissuti e familiari, verifiche sul campo, l’analisi di centinaia di filmati e fotografie, oltre alla revisione di materiale investigativo già disponibile.
Online un’approfondita ricerca sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità commessi da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi durante e dopo gli attacchi lanciati il 7 ottobre 2023 https://t.co/i6zUuGWGo7
— Amnesty Italia (@amnestyitalia) December 11, 2025
Questo documento si inserisce in un quadro più ampio. Già nel 2024 la Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite aveva concluso che sia Hamas sia Israele avessero commesso crimini di guerra. Sul 7 ottobre, la Commissione aveva delineato un modello di violenza sessuale e abusi a opera dei gruppi armati palestinesi, pur segnalando limiti investigativi dovuti alla mancanza di accesso ai luoghi colpiti. La Rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, in un rapporto del 4 marzo 2024, aveva parlato di “informazioni chiare e convincenti” sulla violenza sessuale subita dagli ostaggi a Gaza e in alcuni siti dell’attacco. Non sono conclusioni destinate a sostituire un processo, ma tasselli utili per future azioni penali internazionali.
Le vittime del 7 ottobre sono state rideterminate dalle autorità israeliane a circa 1.200, un dato oggi considerato stabile e riportato anche nel rapporto. Le persone rapite furono 251. Molte sono state liberate in due anni, mentre le stime aggiornate sul numero dei dispersi e dei deceduti in cattività oscillano, segnale della difficoltà di ricostruire tutti i percorsi individuali. La guerra successiva a Gaza ha causato oltre 70.000 morti secondo diverse organizzazioni internazionali, una cifra contestata nella metodologia di raccolta ma utile per misurare l’ampiezza della distruzione.
Il rapporto insiste sul modo in cui l’attacco fu condotto: istruzioni mirate a colpire civili, incendi e esecuzioni nelle comunità del sud di Israele, rastrellamenti casa per casa, assalti ai rifugi. Elementi già noti, ma qui raccolti in un quadro interpretativo unitario che utilizza il lessico del diritto internazionale penale. Nello Statuto di Roma i crimini contro l’umanità si configurano quando determinati atti — omicidio, deportazione, tortura, violenza sessuale — sono commessi nell’ambito di un attacco sistematico o generalizzato contro una popolazione civile. Amnesty Internationalsostiene che il 7 ottobre e il trattamento successivo degli ostaggi rispettino questi criteri. Le ricostruzioni video, le testimonianze e le dichiarazioni di esponenti di Hamas delineerebbero un piano non casuale. I maltrattamenti subiti dagli ostaggi — detenzione arbitraria, violenze fisiche e psicologiche, in alcuni casi violenza sessuale — rientrano nei crimini di guerra e possono concorrere alla qualificazione di crimini contro l’umanità.
Il confronto con altre inchieste conferma una tendenza. La Commissione ONU guidata da Navi Pillay ha descritto nel giugno 2024 uccisioni, violenze sessuali e sequestri a opera di Hamas e di altri gruppi, qualificandoli come crimini di guerra, e ha documentato anche violazioni commesse dalle forze israeliane a Gaza, tra cui attacchi sproporzionati e uso della fame come metodo di guerra, aprendo il capitolo dei crimini contro l’umanità sul versante israeliano. La missione della Rappresentante speciale Pramila Patten aveva segnalato “ragionevoli motivi” per ritenere che violenza sessuale fosse avvenuta durante l’attacco e in seguito in detenzione, pur richiamando la necessità di ulteriori prove indipendenti. Testate come Euronews hanno riportato l’attribuzione di responsabilità anche ad altri gruppi, tra cui le Brigate al-Quds di Jihad Islamica e le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, oltre a civili palestinesi armati che presero parte ad alcune uccisioni.
Il rapporto si fonda su interviste a sopravvissuti, ex ostaggi e familiari, missioni sul campo, verifiche forensi su oltre 350 contenuti visivi e l’incrocio di dati provenienti da agenzie ONU, ONG, giornalisti e autorità giudiziarie. Non è un atto d’accusa formale, bensì un contenitore probatorio costruito per reggere nel tempo. Hamas respinge le accuse e nega intenzionalità nel colpire civili o maltrattare ostaggi; Amnesty International risponde indicando la convergenza di evidenze in senso opposto.
Il documento non si colloca in un vuoto politico o giudiziario. Nel maggio 2024 il procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Karim Khan, ha chiesto mandati d’arresto per leader di Hamas — tra cui Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh — e per i vertici politici israeliani Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, con accuse che vanno dall’esterminio alla deportazione, dall’affamamento come metodo di guerra al sequestro di persona e alla violenza sessuale. Nella seconda metà del 2024 i giudici della CPI hanno compiuto ulteriori passi sui mandati, e nel 2025 hanno respinto un’istanza israeliana che mirava a farli decadere. È un percorso ancora in corso, ma definisce il contorno di un intervento penale internazionale diretto a entrambi i fronti.
La vicenda degli ostaggi rimane un punto irrisolto. Le testimonianze degli ex prigionieri parlano di condizioni traumatiche, minacce, privazioni, spostamenti continui per eludere i raid. Amnesty International e la Commissione ONU riportano anche riscontri su episodi di violenza sessuale in detenzione. Nel 2025 le stime su quanti ostaggi risultino ancora da ritrovare oscillano tra un caso isolato e un numero leggermente più ampio. La presa di ostaggi resta, in ogni circostanza, un crimine di guerra.
Anche Gaza entra nel quadro, pur non essendo il centro del rapporto. L’ONG ha accusato più volte Israele di crimini di guerra e, in alcune posizioni, di crimini contro l’umanità e genocidio, accuse che il governo israeliano respinge sostenendo l’obiettivo di smantellare Hamas e la non intenzionalità del danno ai civili. La Commissione ONU ha documentato l’uso della fame come metodo di guerra, attacchi sproporzionati, trasferimenti forzati. Il tema giuridico resta quello della responsabilità individuale e della distinzione netta tra responsabilità penali e responsabilità politiche.
Sul piano pratico, il rapporto può costituire materiale ausiliario per procure nazionali e internazionali. Dal punto di vista diplomatico, la tutela delle vittime — liberazione degli ostaggi, ricerca dei dispersi, assistenza ai sopravvissuti — dovrebbe restare un capitolo separato e non negoziabile in qualsiasi trattativa. Per i lettori, il valore del documento sta nella capacità di separare ciò che è stato accertato da ciò che rimane ipotizzato, chiarendo il significato delle categorie giuridiche e ricordando che il diritto internazionale non vive di astrazioni, ma di testimonianze, metadati, referti medici e verifiche visive.
Restano necessarie alcune cautele. Il numero esatto degli ostaggi ancora da rintracciare potrebbe variare con nuove verifiche. Alcune accuse richiedono riscontri forensi ulteriori. I bilanci delle vittime a Gaza restano controversi nella metodologia, pur indicativi dell’ampiezza della devastazione.
Due anni dopo, la domanda non è più soltanto che cosa sia accaduto, ma che uso si intenda fare delle informazioni raccolte. La risposta, nel quadro del diritto, passa attraverso indagini imparziali, processi e garanzie per gli imputati, insieme alla protezione delle vittime. La politica può negoziare cessate il fuoco o scambi di prigionieri, ma senza verità e responsabilità anche la diplomazia diventa un esercizio incompleto. Dare nomi precisi alle violazioni non è una forma di accanimento: è il primo passo di un percorso giudiziario che, in Medio Oriente come altrove, rimane lo strumento più solido per accertare le responsabilità.
Fonti utilizzate: Le Monde; Reuters; Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite; Rappresentante speciale ONU sulla violenza sessuale nei conflitti Pramila Patten; Amnesty International; Euronews; Corte penale internazionale (CPI).
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