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Bulgaria, il governo cade a tre settimane dall’ingresso nell’euro: proteste di massa e lo spettro della corruzione

Le dimissioni di Rosen Jelyazkov dopo la mobilitazione di oltre 100 mila persone aprono una crisi politica senza precedenti mentre il Paese si prepara all’euro. Al centro dello scontro, il caso Peevski e la richiesta di riforme reali

Bulgaria, il governo cade a tre settimane dall’ingresso nell’euro: proteste di massa e lo spettro della corruzione

Rumen Radev,

La notte di Sofia si accende di verde, rosso e blu. Fasci di luce tagliano la facciata del Parlamento bulgaro, proiettando parole che sintetizzano una tensione accumulata per settimane: “Dimissioni”, “Mafia fuori”, “Elezioni giuste”. Dalle riprese dall’alto la piazza appare come un’unica massa in movimento, compatta e ordinata, più di 100.000 persone che avanzano con cartelli scritti a mano, sciarpe universitarie, giacconi da lavoro. Alle prime ore dell’11 dicembre 2025, prima che il Parlamento esamini il voto di sfiducia, il primo ministro Rosen Jelyazkov entra in conferenza stampa e pronuncia una frase che sposta l’asse della crisi politica: “Il governo si dimette”. A tre settimane dall’ingresso della Bulgaria nell’eurozona, fissato per il 1 gennaio 2026, il Paese si ritrova improvvisamente davanti alla propria immagine riflessa, costretto a prendere atto della distanza tra istituzioni e società civile.

Per capire la portata della decisione di Jelyazkov occorre tornare al mese precedente, quando il dibattito pubblico implode attorno alla legge di bilancio 2026, la prima pensata e scritta direttamente in euro. Un documento tecnico solo in apparenza. In quelle tabelle molti cittadini hanno visto invece un aggravio sui contributi previdenziali, il raddoppio della tassa sui dividendi, un’impostazione fiscale giudicata opaca e regressiva. Tutto mentre continua a pesare l’ombra della corruzione e dell’influenza esercitata dal politico e imprenditore Delyan Peevski, figura sanzionata da Stati Uniti e Regno Unito e percepita come simbolo di un intreccio consolidato tra affari, media e potere. Le prime piazze si riempiono a fine novembre. La reazione del governo appare incerta: prima difende la manovra, poi tenta modifiche, infine ritira l’intero testo. Ma la protesta ha già assunto una propria dinamica e non si placa. In poche settimane quella che doveva essere una contestazione su aliquote e contributi diventa una mobilitazione nazionale contro pratiche clientelari, mancate riforme e una governance incapace di invertire la rotta. Nella notte tra l’1 e il 2 dicembre si registrano manifestazioni in oltre 25 città. Le forze dell’ordine effettuano 57 fermi; emergono alcuni feriti lievi. Le autorità parlano di provocatori, gli organizzatori rispondono che chi cerca lo scontro non rappresenta la piazza.

In questo clima, il governo guidato da Jelyazkov, sostenuto dal partito conservatore GERB e da una maggioranza parlamentare fragile, si prepara alla sesta mozione di sfiducia. Le precedenti cinque erano state superate, ma la pressione della piazza e l’erosione del consenso rendono evidente che questa volta l’esito è incerto. Il premier sceglie di anticipare la decisione, evitando una sconfitta formale in Aula e rimettendo il mandato alla Presidenza della Repubblica. Ora la gestione della crisi passa a Rumen Radev, il Presidente, che in base alla Costituzione deve sondare nuove maggioranze e, in mancanza di un accordo, predisporre un governo tecnico e accompagnare il Paese a nuove elezioni. In quattro anni la Bulgaria ha già votato sette volte; la possibilità di un’ottava tornata non è remota.

Il nodo che esplode non è soltanto fiscale. È un problema di fiducia. In un Paese in cui la lotta alla corruzione è spesso evocata e raramente completata, la prima legge di bilancio in euro è stata percepita come un contenitore adatto a consolidare rendite di potere. Qui si colloca la figura di Peevski, deputato del DPS (Movimento per i Diritti e le Libertà), alleato esterno determinante per la tenuta parlamentare. Per i manifestanti la sua presenza è il simbolo di un sistema che non riesce a separare la rappresentanza politica dagli interessi economici. Le sanzioni Global Magnitsky del 2021 hanno amplificato una vicenda già intricata, rendendo impossibile scindere la discussione sul bilancio dalla richiesta di un cambiamento strutturale.

A rendere il quadro ancora più delicato è la tempistica dell’ingresso nell’eurozona. Il 1 gennaio 2026 segnerà un passaggio rilevante: adozione della moneta unica, regole contabili riformate, controlli più rigorosi, monitoraggio dei prezzi. I vantaggi attesi riguardano la stabilità dei prezzi, la riduzione dei costi per imprese e cittadini, l’integrazione finanziaria con il resto dell’Unione. Tuttavia più della metà dei bulgari, secondo i sondaggi, teme rincari e perdita di sovranità. Per molti, una bozza di finanziaria che aumenta contributi e gettito a pochi giorni dalla transizione valutaria rappresenta un segnale sbagliato. Nonostante il ritiro della manovra, la protesta non si ferma; segno evidente che l’obiettivo non era solo correggere cifre e percentuali, ma ridefinire un patto di responsabilità tra istituzioni e cittadini.

Il movimento che si compatta nelle piazze non ha una leadership unica, ma una struttura diffusa che coinvolge studenti, lavoratori industriali, professionisti, pensionati, organizzazioni civiche, sindacati e figure della cultura digitale. A Sofia i laser che proiettano slogan sulla facciata del Parlamento arrivano da una rete informale di giovani attivisti, mentre nelle città di Plovdiv, Varna, Veliko Tarnovo, Razgrad e Burgas si registrano cortei e sit-in. Anche la diaspora si mobilita, con iniziative simboliche a Bruxelles, Londra, Berlino, Vienna, Zurigo e New York. La richiesta condivisa riguarda la trasparenza nei finanziamenti ai partiti, la riforma della magistratura, l’apertura dei dati pubblici e una revisione degli appalti che impedisca concentrazioni di potere e favoritismi.

La crisi istituzionale ha conseguenze dirette sull’economia. Se il Parlamento non approverà una legge di bilancio entro fine dicembre, la Bulgaria opererà in esercizio provvisorio ai livelli di spesa dell’anno precedente. Le istituzioni tecniche hanno già predisposto la conversione lev/euro, i sistemi bancari sono stati adeguati e sono previsti controlli per evitare speculazioni sui prezzi. La reazione dei mercati rimane prudente: l’ingresso nell’eurozona è considerato un fattore di stabilità, ma l’incertezza politica prolungata potrebbe complicare l’accesso al credito per amministrazioni e imprese.

Boyko Borissov

Boyko Borissov

I protagonisti della scena politica si muovono in uno scenario instabile. Rosen Jelyazkov tenta fino all’ultimo di mantenere l’equilibrio tra impegni europei, esigenze di bilancio e rapporti con gli alleati parlamentari. Boyko Borissov, leader del GERB, sostiene inizialmente la linea della continuità fino all’ingresso nell’euro, ma la pressione della piazza rende irrealistica questa posizione. Rumen Radev si trova ora a dover garantire continuità amministrativa e, allo stesso tempo, recepire il segnale chiaro provenuto dalle proteste. L’opposizione di Noi Continuiamo il Cambiamento – Bulgaria Democratica (PP-DB) ha legato il proprio programma alla riforma anticorruzione, ma resta il rischio che il consenso della piazza non basti a costruire una maggioranza stabile. Delyan Peevski e il DPS, pur non sedendo formalmente nella coalizione, hanno avuto un ruolo decisivo nella tenuta parlamentare e il loro peso politico continua a generare frizioni.

La crisi bulgara rappresenta un campanello d’allarme anche per l’Unione europea. L’allargamento a Est ha prodotto risultati sul piano economico, ma sul terreno dello stato di diritto il percorso è ancora incompleto. Che un Paese entri nell’euro mentre decine di migliaia di cittadini chiedono maggiore trasparenza dimostra che la convergenza non riguarda solo gli indicatori economici, ma anche i meccanismi democratici. La credibilità dell’eurozona dipende dalla capacità degli Stati membri di rispettare standard condivisi; per Bruxelles la vicenda bulgara diventa un test sulla solidità delle istituzioni europee.

Nelle ore successive alle dimissioni, gli osservatori puntano l’attenzione sulle consultazioni del Presidente Radev, sul carattere del bilancio-ponte necessario per superare il 1 gennaio, sull’andamento della piazza e sull’eventuale definizione di un calendario elettorale. Per l’Italia, secondo partner commerciale di Sofia nell’Unione europea dopo Germania e Romania, la stabilità bulgara non è un dettaglio. Settori come automotive, energia e servizi digitali hanno costruito catene di fornitura integrate con la Bulgaria. Una transizione ordinata all’euro tutela le imprese italiane presenti nei territori di Milano, Torino, Bologna e Trieste.

Nel suo annuncio di dimissioni, Rosen Jelyazkov afferma di voler “essere all’altezza delle aspettative della società”. Una frase diretta, che in Bulgaria assume il valore di un impegno politico. La transizione all’euro mette in evidenza una questione più ampia: la necessità di riscrivere regole e comportamenti per rendere trasparenti le scelte pubbliche. Tre settimane per accompagnare il passaggio all’euro e pochi mesi per definire un patto credibile su legalità e sviluppo rappresentano una finestra utile, ma non infinita. Le piazze hanno mostrato quali siano le priorità. Ora la responsabilità passa alla politica.


Fonti utilizzate: Parlamento bulgaro; Presidenza della Repubblica di Bulgaria; dichiarazioni di Rosen Jelyazkov; dichiarazioni di Rumen Radev; agenzie di stampa bulgare; documenti ufficiali sulla legge di bilancio 2026; report istituzionali sul passaggio all’euro; comunicati delle forze dell’ordine bulgare; sondaggi pubblicati dalla stampa nazionale.

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