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Ombre su Torino
07 Dicembre 2025 - 22:32
E se fosse Francesco?
L’ultima volta che un giornale si è posto questa domanda, riferendosi a questa storia, è datata 31 ottobre 1984, almeno per quanto ci è dato sapere.
In località Vauda di Volpiano, in un pozzo della fornace Parigi, viene trovato uno scheletro umano. Si trova a tredici metri di profondità, è ricoperto di detriti e intorno ad esso i vigili del fuoco repertano un paio di stivaletti di cuoio, un mazzo di chiavi appese a un ciondolo, ciò che resta di una manica e del colletto di una camicia, e un paio di slip.
Intervistato dal cronista, il fratello di Francesco usa parole di speranza, pur nel paradosso di auspicarsi che quelli siano i resti del suo congiunto: “Calzava sempre stivaletti e aveva dei capelli neri lunghi e lisci come quelli che sono rimasti sul teschio. E poi l’incisione sul ciondolo è simile a quella che c’era sulle piastrelle del suo ufficio in via La Thuile. Francesco era un collezionista d’auto d’epoca, non solo sulle piastrelle ma anche sui muri ci sono stampe che riproducono auto antiche”.
E se fosse Francesco? Suo fratello, Roberto, se lo augura. Sarebbe la chiusura del cerchio, la fine di una sofferenza durata sei anni. Ma non è così.
Il giorno in cui inizia l’incubo di Francesco, di Roberto, del resto della loro famiglia e di tutte le persone a loro vicine è il 7 febbraio 1978.
Sono le 19,40 e via La Thuile, borgata Lesna, estrema periferia ovest di Torino, è un deserto di silenzio e freddo. La strada è quasi completamente al buio. L’unica fonte di illuminazione è l’insegna gialla dell’azienda dalla quale, come ogni sera, Francesco esce per recarsi verso la sua abitazione a Villarbasse. L’uomo ha appena aperto il bagagliaio della sua 130 Coupè per infilarci dentro un pacchetto contenente della carne, quando, dall’oscurità, gli piombano addosso in tre, immobilizzandolo.
Lo trascinano via di peso senza dire una parola e lo caricano su una Fiat 1750, partendo a razzo. Francesco prova a dimenarsi, urla, ma non serve a niente: quando dalla ditta si sporgono dalle finestre, è già sparito nel nulla.
Non è la prima volta che accade in quegli anni, né in Italia né a Torino, ma è il primo caso del 1978 in città. Nei precedenti 5 anni, solo nella capitale sabauda, è capitato altre 21 volte: Francesco Stola è stato rapito.

Chi è stato? Ma soprattutto, perché è stata scelta la vittima?
Francesco ha 48 anni ed è titolare, insieme ai fratelli Giuseppe e Roberto, della Alfredo Stola & figli, produttrice di plastici per carrozzeria e stampi in legno e vetroresina per fonderia che rifornisce Lancia, Alfa Romeo, Fiat, Autobianchi, Innocenti e tantissime altre.
L’impresa, in quel momento, è certamente famosa in Italia e all’estero, ma, nonostante tutto, può contare pur sempre una cinquantina di dipendenti e un capitale sociale di 500 milioni di lire. In buona sostanza, è stato sì rapito un industriale ma non certo un miliardario.
È su questo dato che si impernia tutta la vicenda.
Da un lato, increduli, familiari e amici. Intervistato, ad esempio, il fratello Roberto dichiara: “La nostra azienda è piccola, non ci saremmo mai aspettati che scegliessero noi come bersagli. Proprio per questo non abbiamo mai preso precauzioni né abbiamo fatto uso di guardie del corpo. Mettendo insieme tutti i nostri beni, forse, potremmo sì e no arrivare a un miliardo”.
Dall’altra, i sequestratori, con altissima probabilità appartenenti a una cosca di ‘ndrangheta trapiantata in Piemonte, che, verso la fine di febbraio 1978, fanno pervenire, anonimamente, alla famiglia una richiesta di riscatto di tre miliardi. Tutti quei soldi, come già detto, gli Stola in cassa non li hanno e quindi, tenendo anche all’oscuro polizia e carabinieri, iniziano una estenuante trattativa.
Qualcosa sembra muoversi, forse è possibile trovare un accordo, anche le pretese dei criminali paiono essersi affievolite. Il 18 marzo 1978 riferiscono che si accontenterebbero di “appena” 500 milioni. Viene fissato un appuntamento per il 22, ma questo non avrà mai luogo.
Non è possibile ricostruire nei dettagli cosa sia accaduto, ma è possibile ipotizzare che due fattori abbiano in qualche modo influito. Il primo è che il 20 marzo stante “la benché minima collaborazione da parte della famiglia del sequestrato” la magistratura ordina, con un provvedimento inedito fino quel momento per Torino e con un solo altro esempio in provincia, il blocco dei beni degli Stola.
L’altro è che il 16 marzo 1978, in via Fani, a Roma, viene sequestrato Aldo Moro, con conseguente militarizzazione, ricerche a tappeto e posti di blocco in tutta Italia. Torino compresa. È per questi motivi, probabilmente, che il negoziato si blocca.
Sul sequestro di Francesco Stola calano le tenebre.
Fino a giugno dello stesso anno.
Arrivate voci in ditta che riferiscono che il responsabile potrebbe essere il boss calabrese Giuseppe Altomare (che, in quel momento, latitante, è accusato di essere la “mente” di altri quattro rapimenti) si scopre che un dipendente, l’operaio Carmelo Trichilio, lo conoscerebbe di persona.
La tuta blu accetta di fare da mediatore e il riscatto viene fissato a 750 milioni di lire. I congiunti accettano ma, prima di pagare, pretendono di ricevere una prova dell’esistenza ancora in vita del loro caro.
È a questo punto che il venticinquenne Giuseppe Campanale, luogotenente di Altomare, recapita a Trichilo l’orologio che l’industriale portava al polso.
Sembra la svolta del caso, ma, dopo l’arresto, in novembre, di Campanale, che si “canta” il suo capo Altomare sostenendo che è stato lui a consegnargli l’orologio, tutto finisce in un buco nero.
Altomare, latitante e irrintracciabile, non verrà mai arrestato e non si sa neanche se, oggi sia ancora vivo o quando sia morto; Campanale, pur ammettendo di essere coinvolto nel sequestro, racconta il poco che sa, essendo poco più che un “postino”; Trichilo, addirittura, viene anche arrestato accusato di essere il basista, ma poi viene scarcerato per assoluta insufficienza di prove.
Ma, soprattutto, Francesco Stola non farà più ritorno a casa e non si sa che fine abbia fatto, venendo, su richiesta della famiglia, dichiarato morto l’11 agosto 1982.
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